Altamura-Francesco-Saverio-autoritratto

Altamura Francesco Saverio (1826-1897). Biografia. Quadri in vendita.

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Francesco Saverio Altamura nacque a Foggia nel 1826.

Il padre gli trasmise un forte sentimento patriottico e un elevato senso di bellezza per la natura.

Iniziati con scarso entusiasmo gli studi di medicina, s'iscrisse segretamente all'Accademia di Belle Arti di Napoli dove conobbe Domenico Morelli.

 Il Principe d'Aquila, mecenate e fratello di Ferdinando II di Borbone, acquistò il suo primo dipinto,Cristo e l'adultera, del  1846.

Ebbe poi l'incarico di eseguire un pendant,  a Roma, intitolato Il Profeta Nathan che rimprovera Davide del suo adulterio con Betsabea.

Nel 1847 con  Gli ebrei esuli in Babilonia vinse il premio artistico della città di Roma.

Eseguì numerosi quadri di soggetto religioso, notevole per il sentimento umano che spicca dal viso del Cristo il dipinto Gesù alla Colonna.

Fu membro onorario di tutte le Accademie d'Italia e insegnante all'Istituto di Belle Arti di Firenze.

Coinvolto in una congiura contro i Borboni fu condannato a morte.

La madre ottenne dal principe mecenate un salvacondotto che gli permise di rifugiarsi in Toscana dove rimase per 17 anni.

Qui cominciò a dipingere all’aria aperta con De Tivoli, La Volpe, i fratelli Markò e Lorenzo Gelati.

Di questo periodo sono Il primo passo dell'esuleI sogni dell'esule e, per l'esposizione annuale di Firenze in via Colonna, la tela La figlia di Iefte prima del sacrificio sui monti di Galaad, che fu scelta per essere incisa e donata ai soci.

Tornò a Napoli dopo il 1860 combattendo tra le file garibaldine.

Andò poi  incontro al generale e in seguito diventò consigliere nel primo Municipio dopo la caduta del governo borbonico.

Dipinse in questo periodo il ritratto di Garibaldi che ora si trova nella sala del Palazzo comunale di S. Maria La Nova (Caserta).

Tornato nel 1861 a Firenze eseguì il ritratto di Carlo Troya e la tela Mario vincitore dei Cimbri, quest'ultima realizzata in occasione del concorso di pittura indetto dal Governo provvisorio del Ricasoli, allora governatore del capoluogo toscano.

Nel 1867 presentò Cristo tra i farisei all'Esposizione Universale di Parigi.

 Matteo Schillizzi acquistò poi il dipinto   per la somiglianza degli occhi del Cristo con quelli del fratello Luca.

Si trattenne a Parigi frequentando gli amici De NittisPalizzi, Dalbono e Michetti.

Tornato a Napoli vi rimase fino alla morte.

Francesco Saverio Altamura morì nel 1897.

 

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amisani-autoritratto

Amisani Giuseppe (1881-1941). Biografia.

Mede Lomellina 1881 - Portofino 1941

amisani-biografia-quadri-in-venditaGiuseppe Amisani nacque a Mede Lomellina il 7 dicembre 1881.

All'età di quattordici anni si iscrisse all'Accademia di Milano sotto la guida del maestro Cesare Tallone.

Esordì nel 1900 con il dipinto Cleopatra lussuriosa con il quale subì il biasimo dei vecchi maestri essendosi notevolmente distaccato dalla tradizione.

Dopo anni di silenzio, trascorsi nel paese natale, nel 1908 vinse il premio Mylius con l'opera Eroe.

Pur essendosi dedicato quasi esclusivamente ai ritratti, divenne abile paesaggista grazie ai numerosi viaggi intrapresi in Inghilterra, Africa settentrionale, Francia e Isola di Rodi.

"Davanti al modello, davanti alla natura era sempre acceso dalla stessa passione del colore, da una specie di necessità ideale che lo spingeva a fissare l'apparizione di un minuto. La sentiva sfuggire o trasmutare davanti agli occhi; si metteva in gara col tempo, col buio  che la oscurava, sembrandogli questo un modo di ringraziare Dio che aveva fatto il mondo così bello " (Raffaele Calzini in Maestri del colore, Istituto Italiano d'Arti grafiche Editore, Bergamo, 1942).

Partecipò a numerose esposizioni negli anni a Roma, Venezia, Milano, Buenos Aires, San Paolo del Brasile, al Cairo  e londra.

Nel 1912 ottenne il Premio Fumagalli per il ritratto di Lydia Borelli.

Nel 1922 alla Primaverile Fiorentina gli fu assegnato il premio Città di Firenze.

Tra il 1924 e il 1925 eseguì 10 quadri con soggetti egiziani per il Re Fuad.

Nel 1930 fu molto ammirato all'Internazionale veneziana il suo Autoritratto, attualmente nella collezione degli Uffizi.

Giuseppe Amisani morì  a Portofino l'8 settembre 1941 per un attacco di cuore.

 

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autoritratto di ermenegildo agazzi

Agazzi Ermenegildo (1866-1945). Biografia.

Mapello 1866 - Bergamo 1945

agazziErmenegildo Agazzi nacque il 24 luglio 1866 a Mapello da Francesco e Pierina Moscheni, proprietari di un'osteria.

Nel 1871 la famiglia si trasferì a Bergamo dove, nel 1885, si iscrisse all'Accademia Carrara diretta, allora, da Cesare Tallone.

Nel 1888, a 22 anni, richiamò l'attenzione con alcune opere di innegabile eccellenza, quali "Il Fortino di Bergamo" e "La Rocca di Bergamo".

Si trasferi, quattro anni più tardi, a Milano dove stava imponendosi la pittura Divisionista rappresentata da Segantini, Previati, Morbelli e Pellizza da Volpedo.

Per niente interessato alla nuova corrente artistica Agazzi limitò le sue relazioni a pochi artisti che, come Filippo Carcano, si riunivano talvolta al Biffi.

Il suo primo ufficiale riconoscimento giunse nel 1900.

Con una semplice figura di uomo a mezzo busto, inviato a Parigi alla Mostra Universale, ottenne la medaglia d'oro per la sua solida costruzione e per la sua singolare forza espressiva.

Sempre nel periodo milanese gli venne assegnata una medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale di Bruxelles nel 1910 e il premio Fornara nel 1928.

Ma il premio di cui andò  maggiormente orgoglioso fu la medaglia d'argento al Premio Internazionale di Parigi nel 1935.

Ottenne il riconoscimento con il famoso quadro "I Pesci" che destinò in seguito all'Accademia Carrara.

Nel 1938 il Ministero dell'Educazione nazionale di Roma conferì la medaglia d'oro all'opera "Ritratto dell'architetto Gattermayer" esposta alla Mostra Interprovinciale del Sindacato Belle Arti di Milano.

La notorietà di Agazzi divenne quindi sempre più ampia e la sua attività fu seguita ed illustrata da celebri critici del tempo.

Nel 1942 fece ritorno a Bergamo a causa dei bombardamenti aerei sulla capitale lombarda.

Si occupò personalmente del trasporto delle proprie opere da Milano a Bergamo. Qui continuò a dipingere avendo come temi preferiti le nature morte e le composizioni.

Anche nei ritratti era possibile ritrovare la vigoria del maestro.

In questi ultimi infatti, permanevano le doti del valentissimo colorista.

Così si può dire del ritratto a grandezza naturale ed a figura intera della signora Civetta-Carminati.

Ermenegildo Agazzi morì il 15 ottobre 1945 ucciso a scopo di rapina.

 

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sorbi-raffaello-autoritratto

Sorbi Raffaello(1844-1931). Biografia. Quadri in vendita.

 

sorbi-raffaello-biografia-quadri-in-venditaRaffaello Sorbi nacque il 26 febbraio a Firenze da Andrea, pittore e copista e Erminia Aglietti.

Avendo dimostrato sin da giovanissimo una spiccata inclinazione per la pittura, il padre decise di iscriverlo all'Accademia delle Belle Arti dove seguì i corsi di pittura.

Nel 1861 presentò al concorso triennale "La morte di Corso Donati" vincendo il primo premio.

Due anni più tardi partecipò  a una borsa di studio a Roma con il dipinto "Savonarola che spiegala bibbia ai monaci e ad amici nel Convento di S. Marco"; pur essendo il vincitore ne rifiutò l'assegnazione, preferendo rimanere nella sua amata Firenze.

Qui, frequentando saltuariamente  il Caffè Michelangiolo, conobbe gli artisti macchiaioli dai quali venne influenzato in alcuni lavori eseguiti all'aperto.

Nel 1872 firmò un contratto con il famoso mercante parigino Goupil che si assicurò la quasi totalità della sua produzione per ben sette anni.

Seguirono numerose partecipazioni ad esposizioni italiane e ai salon parigini.

Nel 1903 vinse una medaglia d'argento all'Accademia di Belle Arti di Firenze con "Idillio romano".

Nel 1927 partecipò all'Esposizione Nazionale a Palazzo Pitti con "La Muscia e l'aratro".

Tre anni più tardi realizzò per l'amico Enrico  Piceni il dipinto "Omaggio a De Nittis", uno dei suoi ultimi lavori.

Raffaello Sorbi morì  infatti a dicembre nel 1931.

 

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Lessi-Tito-foto

Lessi Tito (1858-1917). Biografia. Quadri in vendita.

Firenze 1858 - 1917

Lessi-Tito-biografia-quadri-in-venditaTito Lessi nacque il 9 gennaio 1858 a Firenze.

Qui, dopo aver seguito all'Accademia i corsi dei maestri Enrico Pollastrini e Antonio Ciseri,  Tito Lessi frequentò lo studio di quest'ultimo acquisendo una vasta cultura artistica ed un'ottima tecnica.

Conosciuto inizialmente come acquerellista, si ricordi a tale proposito L'anticamera del Papa, Tito Lessi si dedicò ben presto ad una pittura di genere e d'impronta storicista che nel  1884 gli vale un invito dal noto mercante d'arte Sedelmayer a Parigi.

Qui rimase fino al 1896 ed eseguì le opere più importanti della sua carriera: Galileo e Viviani , esposto  nel 1893 al Salone dei Campi Elisi e premiato con medaglia d'oro, L'entrata del Delfino, Il testamento, I bibliofili.

Ottenne numerosi altri riconoscimenti a livello internazionali a Monaco di Baviera e a Lipsia.

Rientrato a Firenze continuò a lavorare inviando nella capitale francese le tele più significative e esibendo le altre in alcune mostre annuali fiorentine.

Risalgono a questo secondo periodo L'uscita del Cardinale, Paolo Toscanelli e gli ambasciatori del Portogallo, La prova della Messa in Vaticano, La fucina dell'armaiolo, etc.

Negli ultimi anni della sua attività si dedicò all'illustrazione del Decamerone, pubblicato dall'Alinari nel 1915.

Si tratta di 100 tavole eseguite in sei  anni di lavoro continuo.

Sebbene vissuto in un'epoca di grandi rivoluzioni artistiche, fu sempre disinteressato al gusto del pubblico, rinunciando così a quella popolarità che avrebbe meritato.

Tito Lessi morì  a Firenze il 16 febbraio 1917.


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Crema Giovanni Battista (1883-1964). Biografia. Quadri in vendita.

Giovanni Battista Crema nacque a Ferrara il 13 aprile 1883.

Manifestando fin dall'infanzia una naturale predisposizione alla pittura, il padre, avvocato, lo mandò a lezione dal maestro  ferrarese Angelo Longanesi.

Nel 1899 si trasferì a Napoli per iscriversi all'Accademia di Belle Arti.

Qui ebbe come insegnanti Domenico Morelli e Michele Cammarano.

Alla morte di Morelli, nel 1901, decise di passare all'Accademia di Belle Arti di Bologna dove seguì i corsi di Domenico Ferri.

Nel 1903 Giovanni Battista Crema  si stabilì a Roma con la madre.

Il primo quadro di impegno, presentato nel 1905 all'Esposizione di Belle Arti a Roma, fu il trittico L'istoria dei ciechi dolorosa.

Il discreto successo ottenuto da parte del pubblico romano, amante dei soggetti sociali, non gli valse tuttavia l'ammissione al Pensionato artistico.

Il successo sperato arrivò nel 1907 con la mostra personale di 12 opere all'esposizione annuale della Società amatori e cultori di Belle Arti.

Seguì un periodo molto fecondo in cui espose a Milano, Torino (Quadriennale, 1908), Rimini (Club Lido, 1908), Buenos Aires (Esposizione internazionale, 1910), Barcellona (Esposizione internazionale, 1911) e a Roma (Esposizione internazionale, 1911).

Nel 1914 la Società amatori e cultori di belle arti gli dedicò una nuova mostra personale.

Durante il  primo conflitto mondiale Giovanni Battista Crema fu arruolato come tenente di fanteria; le ferite riportate gli procurarono  un'invalidità permanente.

La dolorosa esperienza bellica gli ispirò, negli anni successivi, varie opere tra cui La vampata (Municipio di Napoli) e Reticolati sotto il San Gabriele (Roma, Ministero delle Poste). Richiamato alle armi durante la seconda guerra mondiale, ebbe il compito di raffigurare scene di battaglia.

Si ricordano, a questo proposito, la Battaglia navale dell'11 febbraio 1942 e Siluranti all'attacco, entrambi esposti alla XXIII Biennale di Venezia del 1942.

Nel 1946 morì la moglie Luisa Tucci, conosciuta durante gli studi all'Accademia di Belle Arti di Napoli.

Quattro anni dopo  prese parte alla Giuria Internazionale della Mostra Mondiale di Arte Sacra a Roma.

Sette anni più tardi  la morte del figlio lo spinse ad allontanarsi completamente dalla vita pubblica.

Giovanni Battista Crema morì   a Roma nel 1964.

 

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Cesare-Ciani-autoritratto

Ciani Cesare (1854-1925). Biografia. Quadri in vendita.

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Cesare Ciani nacque a Firenze nel 1854.

Terminò gli studi tecnici nel 1875 e completò nei tre anni successivi il servizio di leva.

All'età di ventisei anni iniziò a frequentare i corsi di Giuseppe Ciaranfi e di Giovanni Fattori presso l'Accademia di Belle Arti .

Il 1886 fu un anno cruciale per l'affermazione e la diffusione al grande pubblico dell'identità artistica di Ciani.

La vittoria riportata al concorso di pittura  indetto dalla stessa accademia inaugurò, infatti, anche l'inizio della sua stagione espositiva.

Quell'anno oltre a partecipare alla Promotrice di Firenze, fu presente a quella di Genova con Il ciabattino.

All'Esposizione Universale di Parigi del 1889 ottenne una menzione speciale con il ritratto dal titolo La vedova, esposto l'anno precedente al Circolo Artistico fiorentino.

Nella sua ricca produzione prevalgono paesaggi animati con scene di gusto verista, trattati con una evidente densità materica e contraddistinti da una attenzione alle variazioni tonali e luminose.

Lavorò in Liguria dipingendo dal vero paesaggi ripresi a Riomaggiore, a Portovenere e a La Spezia.

Dipinse, inoltre, a Livorno, all'Isola d'Elba e a Viareggio.

Tra i suoi clienti, il collezionista Emanuele Rosselli per il quale, oltre al ritratto, eseguì alcuni studi del mercato.

Nel 1900 dopo la presenza, unitamente a Signorini, Fattori e Cannicci, alla mostra di Monaco con due dipinti:  In giardino e Contadina toscana, si unì al gruppo dei pittori "rivoluzionari".

Questi erano capeggiati da Ghiglia, Lloyd, Costetti e De Carolis e nel 1904 dettero vita alla Secessione di Palazzo Corsini.

Da allora partecipò solo a rassegne indette dalla Società Promotrice fiorentina, ad eccezione di una presenza nel 1908 a quella di Torino.

Amico di Diego Martelli e di Matilde Gioli Bartolommei, Ciani fece parte di quel circolo di amici che, periodicamente, si riunivano presso le loro dimore.

Del critico e della sua compagna Teresa Fabbrini, realizzò i rispettivi ritratti, attualmente conservati alla galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti.

Cesare Ciani morì  a Firenze il 13 febbraio 1925.

 


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ANTOLOGIA CRITICA: Cesare Ciani: un artista "non allineato"

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lorenzo delleani autoritratto

Delleani Lorenzo (1840-1908). Biografia. Quadri in vendita.

Di seguito riportiamo la preziosa biografia di Lorenzo Delleani scritta da Marziano Bernardi in occasione della mostra dedicata al pittore Biellese nel centenario della sua nascita (1940):

delleani“Un secolo fa, il 17  gennaio 1840, nasceva a Pollone presso Biella quegli che sarebbe diventato il più istintivo ed impetuoso pittore del Piemonte moderno.

A trentadue anni dalla sua morte e mentre a Torino è aperta, allestita da La Stampa nel suo salone, questa grandiosa mostra commemorativa, in piena civiltà coloristica ed in un clima pittorico ch’è ancora sotto il segno  di quell’Impressionismo europeo in cui sfociò la grande rivoluzione estetica ottocentesca preparata nel rapido dissolvimento del provvisorio Neoclassicismo, il momento sembra propizio ad una revisione dell’arte sua e ad una popolare definizione del suo temperamento.

Anche perchè la critica, il mercato, il favore del pubblico una volta tanto concordano nei giudizi ed intorno a quel nome si rassoda una fama che accenna a crescere col passar del tempo.

Le più recenti vendite han visto collezionisti esigenti in gara per tavolette dove le nebbie d’Oropa lambiscono nella fredda conca verde-cupo i tetti bruni del Santuario od il torrente scroscia diaccio al lampo d’una luce argentina fra umidi prati autunnali.

Nel più recente libro sull’arte dell’ultimo secolo si legge questa frase: “… se l’estro felice lo coglie, la sua pennellata ha una foga, una espressività modellatrice entro una pasta di colore densa e ricca, che non ha l’uguale in nessun altro paesista italiano dell’800”.

Il problema dominante, anzi l’unico problema spirituale su cui debba sostare lo studioso di Lorenzo Delleani è – lo si sa – quello della sua “conversione” che nel 1881 già sollevava tante discussioni, con l’improvvisa comparsa del quadro Quies all’Esposizione Nazionale di Milano.

Una sorpresa, un trionfo quella tela che rappresenta il lago di Candia al crepuscolo mentre la luna piena sta sorgendo sulla bassa pianura canavesana: ben cinque volte l’autore dovette replicarla a richiesta di committenti entusiasti durante i mesi che l’esposizione restò aperta, ed intorno era un coro di lodi.

L’album-ricordo della mostra ne pubblicava la riproduzione accompagnandola con queste parole:

“Ecco uno dei migliori quadri dell’Esposizione; la luna spunta e si alza da un orizzonte nebuloso rischiarando lo specchi d’acqua cheta come uno stagno morto; sulla riva rincasando con qualche pecora, s’inoltra verso il fondo vaporoso e nero una povera guardiana di bestie; l’intonazione cupa, neutra, la tranquillità del colore, l’oscurità piena di misteri, producono la sensazione di un silenzio solenne, d’una quiete religiosa e melanconica: è il sentimento che si esplica senza espressioni di volti, di mani, di segni, colla magia del chiaroscuro, è il colorista che si manifesta senza colori per la sola potenza dei valori delle tinte”.

Linguaggio critico di sessantanni fa, quando tuttavia – sia detto di sfuggita – un quadro era ancora suscettibile di descrizione, perchè aveva un significato non soltanto stilistico.

Che era dunque accaduto?

Per oltre tre lustri Delleani, passato alla pittura da un principio di studi musicali (le basi d’una cultura classica gli eran state fornite nel collegio di San Giovanni di Moriana, in Savoia), discepolo all’Accademia Albertina di Torino del meticoloso Carlo Arienti che aveva avuto per maestro il Sabatelli ed ammirava profondamente i Veneziani, poi come al solito di Enrico Gamba e di Andrea Gastaldi, i due coriferi piemontesi della pittura storico-romantica, aveva mietuto successi dipingendo degli Ezzelino da Romano contemplanti l’eccidio di Vicenza, dei Cristoforo Colombo in catene, dei Torquato Tasso uscenti dallo spedale di Sant’Anna, dei Corradino di Svevia arrestati in casa di messer Frangipane, dei Cromwell espulsi dal Parlamento, oppure, fra un Assedio d’Ancona ed una Caccia al falco, l’inevitabile Beatrice di Tenda.

Il soggiorno a Venezia negli anni giovanili aveva avuto un’indubbia influenza sul suo modo di capire e di impiegare il colore, e già Mario Soldati, nell’introduzione al catalogo della Galleria d’arte moderna di Torino, osservò che in alcuni particolari del quadro Sul molo a Venezia, del 1874, c’è già quel Delleani colorista, col suo istinto della luce, del movimento e della massa che ritroveremo in tutta la più nota produzione del paesista: ciò che indusse il critico ad affermare una unità e continuità delleaniana, pittorica se non contenutistica, contradicendo coloro che propendono per una “conversione subitanea e rivelatrice” dovuta all’abbandono del quadro storico, ad un soffio di nuova freschissima ispirazione.

E tuttavia, anche dopo venezia, è col Sebastiano Veniero vincitore di Lepanto che Delleani si impone a Parigi all’arcigno Gèrome e vittoriosamente entra al Salon del ’74: lo stesso anno Fontanesi, dopo l’Aprile, dipingeva la Bufera imminente.

Non solo: nell’80, all’Esposizione Nazionale di Torino, con la sua Dogaressa Caterina Grimani il nostro artista è ancor fedele all’antica maniera, e proprio per questo è lodato da Luigi Chirtani che lo incita a perseverare  nel quadro storico e nella scena di genere!

Ecco dunque un uomo di quarant’anni quant’altri mai spiritualmente equilibrato, un pittore maturo in pieno possesso dei suoi mezzi tecnici espressivi e per di più stimato, ammirato, comprato, voltar le spalle con risolutezza a tutto un passato di lavoro, tal quale un Verga (ed i due casi concordano fin nella coincidenza delle date, da quella della nascita a quella della conversione) che rinnega Eva ed Eros per scrivere la Vita dei campi e i Malavoglia.

Disse lo Stella nel ’93 ( e tutti gli altri poi lo ripetono) che i cinque quadri esposte da De Nittis alla mostra torinese dell’80 aprirono gli occhi a Delleani, gli indicarono la sua nuova via.

Perchè proprio De Nittis?

Da vent’anni Fontanesi esponeva a Torino le sue elegie pittoriche, vi spandeva i remoti echi di quella che Cecchi chiamò la sua sublime, runica tristezza.

Pure da venti anni, radunati intorno a Carlo Pittara, Avondo e Rayper, Bertea e D’Andrade, Pastoris ed Issel e gli altri della Scuola di Rivara confermavano con l’idillio intimistico di quei campi e di quei rivi, di quei cieli e di quei solchi l’autenticità di unclima paesistico tipicamente subalpino: ne parlava con ammirazione il Signorini, ed intanto Edoardo Perotti (grande pittore misconosciuto) già fra il ’60 e il ’70 plasmava a gagliardi blocchi costruttivi le sue larghe, patetiche visioni naturali.

Tutto ciò che avrebbe potuto decider Delleani ad abbandonare l’inerte convenzione del quadro storico già era vivo e operante, con risultati spesso stupendi, qui in Piemonte; e quel suo fiuto fu infatti graduale, come testimoniano alcuni piccoli saggi anteriori all’80, e maturò spontaneamente nell’atmosfera creata intorno all’arte piemontese d’impronta franco svizzera da Fontanesi e dalla Scuola di Rivara.

Insisto su quest’affermazione ancora inedita perchè troppo semplicistica mi sembra la soluzione data al “caso Delleani” dal Soldati e dal Somarè: il primo col ridurre la conversione del pittore alla possibilità di rinunziare finalmente al “quadro compiuto”, “di dipingere degli studi di piccole dimensioni all’aria aperta e nel minor tempo possibile”; il secondo con l’attribuirla soltanto a una questione di indirizzo artistico. D’altri più complessi elementi conviene invece tener conto, d’altre imperiose presenze e preesistenze: senza Rivara con le sue suggestive proposte, senza Fontanesi col suo lirismo trasfiguratore, Delleani sarebbe diventato quell’irruente, insaziabile, quasi rapace scrutatore di una natura agreste  tutta in funzione di luce, che noi oggi conosciamo ed ammiriamo?

In ogni artista autentico, da Manzoni a Verga, da Fattori a Segantini, l’espressione stilistica sui determina in rapporto alla sua visione della realtà – realtà del mondo esterno, realtà di un intimo sentire. Per questo il trapasso dalla maniera storica a quella paesistica, che di solito è citato come un semplice episodio, è d’importanza capitale per l’arte delleaniana.

Il nostro Delleani nasce a quarant’anni sonati, nel 1881, col quadro Quies.

Da allora, fino alla morte il 13 novembre 1908, la natura non ha per lui che una voce, infinitamente e variamente modulata ma unica. Dozzine di grandi quadri, migliaia (quante?) di studi.

Instancabile, d’una rapidità d’esecuzione prodigiosa , letteralmente si getta sul motivo come un corsaro sulla preda; là su quel prato, su quel declivio brullo dove pascola un armento, dove una mucca leva il muso attonita, c’è un verde, c’è un giallo  da far cantare nel lampo del sole, una gamma che si schiarisce dal bruno del terreno al grigio soffice d’un cielo nubiloso; un contadino attraversa la radura, la forma scura è anch’essa luce nella gradazione dei toni fra primo piano e sfondo.

Cava di tasca una vecchia busta, un pezzo di giornale, fulmineo determina sommariamente il taglio, le masse, la successione dei piani… lasciamo parlare Giuseppe Bozzalla, che fu suo allievo e tanto lo vide lavorare: “Il quadro è già in suo possesso, sentite e risolto!

In un attimo toglie le correggie del suo sacco e , canterellando, siede sul suo sgabello, col porta-studi già aperto sulle ginocchia.

Nervosamente, con grossi pennelli, in pochi istanti riempie di colori tutta la tavoletta che, ad una certa distanza, ha di già tutte le parvenze di un quadro finito. Poi, con altri pennelli di setola, prosegue nel suo lavoro; rinforza certi toni con la spatola, delinea meglio alcuni contorni con un pennellino di martora, e per ultimo segna nell’angolo di destra, in fondo, la data del giorno, del mese e dell’anno”.

Così per le balze del Biellese, o in Val d’Aosta o in Liguria o a Roma o a Venezia; così, nell’83, sulle fredde spiaggie o per le distese brumose d’Olanda, con l’amico poeta Camerana, dove va a cercare il colore e la luce – ancora e sempre la luce! – di Rembrandt, con un’ambizione e una speranza che già prima gli avevan suggerito, da un celebre modello che aveva visto al Louvre, il bue squartato  del quadro Sotto Natale e gli suggeriranno quelle altre numerose meraviglie che sono le impressioni dell’Haya, di Rotterdam, di Scheweningen.

Parvenze di un quadro finito: infatti; anche se i rami dell’albero son segnati con la punta del lapis che ha scavato un solco nella pasta; anche se la pennellata vorticosa sbava sulla forma creando rifrangenze luminose, e quindi nuove ricchezze tonali, e la forma stessa nasce da questa luce che nel suo rimbalzare continuo determina il movimento, conferisce alla visione pittorica uno strapotente senso energetico.

Il tratto geniale è così, talvolta, tutto in una spatolata che incide con intuizione plastica il colore, o in un grumo di carminio posato con precisione infallibile sul cupo sfondo notturno della minaccia temporalesca, oppure nella stesura fredda, lisciata, di un’acqua nera di lago alpino sotto corpose nubi incombenti: terre brune, allora, su neri avorio condotti con spettacolosa sapienza cromatica che non è però lo squillo del virtuoso che si pavoneggia fino all’incoscienza, ma intima necessità spirituale e sorveglianza rigida di stile.

Poi quell’impegno “breve, intenso, rabbioso”, come ben disse il Soldati, si esauriva – quasi rapida ebbrezza – nello sforzo convulso della stessa tensione nervosa.

Tale era il suo limite, nell’ispirazione, nella determinazione del motivo, persino nel tempo dell’esecuzione: e non poteva, non doveva varcarlo. Il suo respiro poetico, ben spesso erculeo, non durava più di due o tre ore.

Dicono ch’egli imprecasse ai quadri, i grandi quadri che gli toccava comporre in studio per le esposizioni; e ne dipingeva infatti di vastissimi, con larghe scene di processioni, di vita alpigiana e contadinesca, o con vedute di porti, di monti, di fiumi, di valanghe, di tempeste.

Voleva dipingerli, sarebbe stata – benchè lo si neghi da chi lo invoca, ad assolverlo, il “pregiudizio” del quadro compiuto – la sua ambizione; ma conosceva le sue possibilità e perciò si scagliava contro le esigenze ritenute “borghesi”, mentre le sue tele col crescer dell’ampiezza si svuotavano ed afflosciavano come se, per difetto appunto di durevolezza ispiratrice, non riuscisse ( e così era in verità) a coordinarne in unità stilistica gli sparsi elementi.

Il suo segreto era la concitazione.

Resta quindi di lui un’opera folta, frondosa, grondante d’energia coloristica, non molto varia nel numero, d’una consistenza poetica che è più nell’intensità stupenda d’un difficilmente superabile dinamismo pittorico, che non nell’alta, solenne, completa realizzazione d’un mondo lirico.

La sua è la gagliarda poesia dell’impeto, pulsante, sonante, quasi eroica; e in questi limiti egli seppe dar voce a uno dei più bei canti della moderna pittura italiana”.

 

 

Marziano Bernardi

 

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mario cavaglieri - foto

Cavaglieri Mario (1887-1969). Biografia. Quadri in vendita.

mario cavaglieri - Copia

Mario Cavaglieri nasce a Rovigo nel 1887. La famiglia era israelita.

A Padova, dove vive tra il 1900 e il 1917, frequenta lo studio del pittore Giovanni Vianello, conoscendovi Felice Casorati.

Non ancora ventenne, nel 1907, è presente alla mostra Società Amatori e Cultori di Belle Arti di Roma e, due anni più tardi, a Ca’ Pesaro, dove esporrà assiduamente fino al 1925.

In seguito al soggiorno parigino del 1911, partecipa con una certa regolarità alla Biennale di Venezia.

L’intensa attività espositiva del secondo e terzo decennio, che fra l’altro registra la sua presenza a Milano, nelle edizioni della Permanente del 1914 e 1915 e alla Galleria Pesaro nel 1920, è premiata con il successo di critica e pubblico.

Tra il 1921, anno del matrimonio con Giulietta Catellini, e il 1925 soggiorna a Piacenza, per poi trasferirsi a Pavie-sur-Gers, in Guascogna, dove trascorrerà, alternando soggiorni in Italia e Francia, il resto della propria esistenza.

Nel 1948, 1950 e 1952 partecipa alla Biennale di Venezia.

Il riconoscimento più importante gli viene tributato nel 1953 con un’ampia antologica alla Strozzina di Firenze.

Mario Cavaglieri muore  a Pavie-sur-Gers il 23 settembre 1969.


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Previati Gaetano (1852-1920). Biografia. Quadri in vendita.

gaetano-previati-biografia Gaetano Previati nasce a Ferrara il 31 agosto 1852.

Inizia gli studi all'Istituto Tecnico cittadino abbandonandoli  quattro anni.

Decide infatti di   seguire, alla   locale Scuola di Belle Arti, i corsi di pittura e disegno tenuti da Giovanni Paglierini e Girolamo Domenichini.

Dopo il servizio militare si trasferisce  a Firenze dove frequenta per alcuni mesi l'Accademia sotto la guida di Amos Cassioli.

Nel 1877, grazie a un sussidio dell'Amministrazione provinciale di Ferrara (alla quale, in segno di riconoscimento, donerà il dipinto Belisario in atto di chiedere l'elemosina)  s'iscrive all'Accademia di Brera, seguendo le lezioni di Giuseppe Bertini.

In questo periodo si dedica anche alla scultura e intreccia amicizie con altri allievi di Bertini tra cui Leonardo Bazzaro, Filippini e Amerio Cagnoni.

Nel 1879, con Gli ostaggi di Crema vince,  per la pittura di storia,  il premio della Fondazione Canonica bandito dall'Accademia di Belle Arti di Brera.

Nello  stesso anno partecipa al concorso triennale di pittura riservato agli allievi dell'Accademia.

Il tema scelto dalla commissione riguarda un episodio della storia medievale di Roma: Una pia donzella ai tempi di Alarico difende dalla rapacità di un Goto gli arredi sacri affidati alla sua custodia.

Il dipinto di Previati suscita poco interesse sia perchè offuscato dal grande successo ottenuto da Gli ostaggi di Crema, sia perchè il premio viene assegnato al dipinto del collega Cesare Tallone che presenta forti analogie iconografiche con il suo.

 

Due anni dopo, stabilitosi a Milano frequenta i circoli della Scapigliatura, i cui aderenti sono in contrasto con la cultura tradizionale.

Partecipa all'esposizione nazionale con Abelardo ed Eloisa, La porta dell'harem, Preferenze e Cristo Crocefisso, suo primo dipinto di soggetto sacro.

Intensifica la partecipazione alle rassegne pubbliche, mostrando interesse per la corrente Divisionista.

Nel 1890 sposa la modella Leonilda Baldassini; a distanza di un anno nasce il primo figlio Carlo seguito, tra il 1895 e il 1901, da Flaminio e Alberto.

Sempre nel 1890 inizia a lavorare alla grande tela della Maternità (Banca Popolare di Novara), primo capolavoro della svolta Divisionista.

Nel 1901 la Biennale di Venezia gli dedica un'intera sala nella quale sono riuniti 32 lavori.

E' questo il risultato dell'impegno propositivo del critico Vittorio Pica e dell'organizzazione di Alberto Grubicy, impegnato a promuovere la pittura di Previati anche all'estero.

Tra le opere esposte  le due versioni del Re Sole, Farfalle, Uva, Pianticella, Bambino che suona e il disegno Paolo e Francesca.

Nel 1902 alla Quadriennale di Torino presenta le 14 tele  della Via Crucis e partecipa alla Grosse Berliner Kunstaustellung.

Nello stesso anno figura con 39 pezzi tra olii e disegni in una collettiva organizzata da Alberto Grubicy al palazzo della Società di Belle arti di Milano.

Prendono parte alla rassegna a favore dei restauri del Castello Sforzesco Gola, Conconi, Tominetti, Fornara , Minozzi, Maggi, Ravasco, Gottardo e Mario Segantini.

Nel settembre-ottobre del 1907, al "Salon des peintres divisionnistes italiens", organizzato dalla Galleria Grubicy e dalla sezione parigina della società Dante Alighieri, espone 28 opere.

Nel 1910 è nominato Commendatore della Corona d'Italia in occasione dell'Esposizione di duecento opere di Gaetano Previati nel Palazzo della Società per le Belle Arti di Milano.

L'anno dopo viene fondata la "Società per l'Arte di Gaetano Previati" gestita da Alberto Grubicy e da un numero ristretto di azionisti.

Nel 1915 muore la moglie, il figlio maggiore si arruola volontario mentre l'altro, anch'egli partito soldato, muore prima di raggiungere il fronte.

In seguito a questi lutti familiari si ritira nella cittadina ligure di Lavagna.

Gaetano Previati  muore il 21 giugno 1920.

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ANTOLOGIA CRITICA: Focus su Gaetano Previati,