"Ricordo di Boldini a Parigi" di Enrico Somarè, 1941

 

- Eccolo!- esclamò ad un tratto l'amico artista Schettini che mi accompagnava, piegando il capo verso una figura che avanzava in quella direzione. Non lo avevo mai visto in persona, ma lo riconobbi subito. Era lui, Boldini, dalla grossa testa sulle spalle quadre della sua statura corta, che procedeva a brevi passi cadenzati, il busto eretto, il cappello duro calcato sulla fronte, gli occhi spalancati, lo sguardo fisso, la canna puntata in terra, con l'aria di un personaggio dal vestito nero, che avesse in gran dispetto il prossimo infernale e parigino. Lo accostammo. Avevo chiesto al mio compagno, che lo conosceva, di presentarmi a lui come il futuro autore di una storia dei pittori italiani dell'Ottocento, ma quando egli intese che avrei desiderato tanto di ascoltarlo sopra i suoi rapporti personali e artistici coi macchiaioli toscani e intorno al suo passato fiorentino, rispose, senza celare il disappunto inflittogli dalle mie domande, che la sua memoria non assisteva la sua cortesia. E in quella, irrigidendosi, fino a sembrare un vecchio generale arcigno che non vuol sapere di discorrere con chicchessia delle sue campagne, ci pintò in asso con un cenno più di comando che non di congedo, a pochi metri dalla porta chiusa della sua dimora. Apparso a un tratto, dopo alcuni istanti egli era già scomparso dalla sua contrada, dove lo avevamo atteso, e per me, in quel momento, il dileguare della sua persona simboleggiava la perdita sofferta dall'Italia al tempo in cui egli l'aveva abbandonata per  andare a dipingere a Parigi.

Dipinti altrove, quelli tra i suoi quadri che erano rimasti nello studio dopo la sua morte, continuarono però a venire in Italia volentieri. Eleganti, preziosi, e seducenti, questi esseri pittorici, cresciuti la più parte nelle tiepide serre della moda e trapiantati nei giardini dell'arte, sembrano quasi imbarazzati di ritrovarsi qui, fra gente più modesta, la quale non desidera d'altronde, che di ammirarli, come dei fiori esotici, che spandono un profumo squisito e penetrante. L'origine nostrana del loro autore ce li rende quasi in figura di una bella preda fatta da un artista italiano in terra straniera.  Doveva proprio essere - si pensa riguardandoli - un pittore nato a Ferrara e che finì di compiere la sua formazione all'ombra dei macchiaioli di Firenze, a cogliere l'effetto dell'eleganza e dell'essenza della donna francese. Doveva essere un pittore energico, capace, come è vero che gli estremi si toccano, di applicare la sua rude forza d'espressione a rendere, occorrendo, dei soggetti femminili estremamente raffinati. Infatti, per rappresentarli, ci voleva un'energia contraria alla loro faiblesse, un impeto che li costringesse a denudarsi.

L'energico Boldini, ferrarese di nascita e mezzo fiorentino d'adozione, aveva in sé, nel suo carattere irascibile, quel tanto di malumore maschio e quel resto di collera virile che occorrevano per poter affrontare la difficile impresa di dipingere, senza cadere nella rete dell'illustrazionismo effeminato, delle belle o brutte donne francesi. E ch'egli sia rimasto, disegnando e dipingendo volti e figure e nudità mondane, un artista degno di fare invidia anche a un Degas, il quale si recava spesso nel suo studio apposta per vederlo dipingere e che non finiva di meravigliarsene, è un punto decisivo, che respinge da solo le facili riserve fatte sul carattere artistico di un tale esecutore.

Le principali, tra le opere raccolte in questa mostra, attestano in maniera concreta la validità delle considerazioni che precedono e di quelle che seguono. L'arte di Boldini non dipende dalla seduzione esercitata dalla ricca mondanità dei suoi soggetti, ma consiste nell'energia dell'esecuzione. Dall'incontro, o meglio dalla compenetrazione del suo virtuosismo tecnico con l'eleganza propria dei suoi temi è sorto un tipo di rappresentazione estetica della mondanità, estetica nel senso ch'ebbe la virtù di cogliere e per conseguenza di tramettere pittoricamente certi aspetti, certi atteggiamenti, certe sensazioni fugaci, che rimasero impresse sulle tele boldiniane.

Si guardi La Contessa De Rasty, nel serico pastello che la raffigura nella sua discreta nudità adagiata deliziosamente entro un velo di colori teneri e tenui; si osservi La casacca rossa, figura d'altro tempo, dal profilo sensitivo sotto il cappelluccio di paglia trattenuto da un nastro intorno al collo, mentre il rosso acceso della casacca, che aderisce al busto e ai fianchi dopo la cintura stretta, accentua la slanciata snellezza del suo corpo. O la Contessa in abito da sera, dal profilo aquilino, effetto che insiste sulle spalle magre e sugli omeri e che continua nelle penne del gran ventaglio aperto, nella mano destra: a quale metamorfosi dobbiamo la formazione di questo aristocratico esemplare della femminilità? Non se ne conosce la genealogia, ma la sua somma biografica è tirata nella sua figura in piedi, lunga cifra complessiva, totalizzata in bianco e nero da un artista rotto a questi calcoli sublimi.

Seduta sul divano, in una posa trasversale che ne allunga il metro figurativo, L'americana è una persona fatta di carne, di disegno e di pastello, che attende un complimento audace, un invito imprevisto, una sorpresa: il viso, il cappello, il vestito medesimo recano l'impronta della resistenza opposta dall'aria della vita alla carriera della sua mondanità aggressiva. Effetti e sensi analoghi e diversi si ritroveranno in altri pastelli prestigiosi: Testa di giovinetta - La signora Georges Hugo - Testa bruna. e in un dipinto a olio intitolato: Cappello con la piuma rosa.

Accanto a questo Boldini parigino continuava a sussistere in potenza l'altro Boldini macchiaiolo, le cui facoltà represse e conculcate, ogni tanto, si riaprivano come una ferita mal rimarginata. Era l'autore di L'acquaiuola, eseguita nel periodo fiorentino, che si ridestava all'improvviso per improntare sulla tela con l'antica urgenza pittorica i Cavalli lungo la Senna, una vasta e densa strofa di pittura, in cui continua il movimento colto dall'intuizione dell'artista e reso dall'esecuzione del pittore invaso dall'estro originario. Anche nel Canale a Venezia e nella Piazzetta San Marco, un canale e una piazzetta che non somigliano a nessun'altra pittura di soggetto veneziano, riappare la luminosa e rapida corrente del macchiaiolismo boldiniano. Talvolta, mescolandosi alle acque della Senna, essa riaffiora in certi altri dipinti di soggetto parigino, in questi per esempio, Place Pigalle, Grisette gaia, Riposo, dove l'estro nativo del pittore preme, trascorre, lambe definisce e accentua le cose, con un'agilità acrobatica che ottiene il plauso degli intenditori e strappa l'applauso al pubblico.

Enrico Somarè, Milano, 1941

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Focus su Francesco e Luigi Gioli

da Catalogo Mostra "Esposizione individuale dei pittori Francesco e Luigi Gioli", Galleria Centrale d'Arte, Milano 21 ottobre - 5 novembre 1916.

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Approfondimento su Cristiano Banti

Di seguito,  riproduciamo uno stralcio della monografia sul noto artista-mecenate pubblicata da  Giuliano Matteucci (Cassa di Risparmio di San Miniato, San Miniato, 1982).

 

 

Cristiano Banti, vissuto fra il 1824 e il 1904, è appartenuto a quella generazione di artisti italiani (ne facevano parte anche Fattori e Lega) che hanno saputo capire con acutezza eccezionale gli apporti di quel realismo che è nato in Francia, soprattutto con i pittori della cosidetta "Scuola del '30", ma per trarne suggerimenti del tutto originali. Dei Macchiaioli Banti è stato uno dei primissimi, con Signorini e Cabianca, a capire e praticare la teoria di un rapporto immediato con il mondo esterno , che permettesse di ritrovare i valori essenziali della superficie dipinta dando risalto ai rapporti di luce e di tono cromatico che sono impliciti alla percezione ottica. Questo libro, oltre che il pittore, prende di vista anche l'uomo, accompagnandolo per l'arco della sua esistenza; raramente come nel suo caso c'è una correlazione stretta fra l'opera e la psicologia, estremamente particolare, del personaggio. Ne esce un ritratto inedito, l'immagine di un Banti sconosciuto, personaggio di difficile interpretazione, data la complessità del suo carattere. Da una parte egli è stato un uomo di società, anche a causa della sua fortunata condizione economica: intorno a lui si muovono molti dei protagonisti più vivi delle nuove correnti del "realismo" e con la sua attività di studioso d'arte antica  e di collezionista egli ha influenzato non poco la situazione culturale della Firenze del tempo. D'altra parte, come artista, egli aveva tendenza a chiudersi nel privato, ed è anche per questo che si è dovuti arrivare fino ad oggi per scoprirlo  in tutte le sue sfumature, nella successione dei suoi vari  "periodi". Infatti la sua inquietitudine, che ne fa anche l'inaspettata modernità, lo ha portato a sperimentare  delle forme d'arte che, senza indurlo a ripudiare l'originaria formazione macchiaiola, gli hanno suggerito soluzioni personali, aggiornate con le tendenze internazionali del momento. E può rivelarsi una sorpresa per molti rendersi conto che nel gruppo macchiaiolo c'è stata, oltre alle grandi personalità più ancorate alla terra d'origine, una come la sua non meno dotata di robustezza, non meno portata a rivendicare la propria originalità, capace però di assorbire i filtri segreti del simbolismo e del decadentismo europeo.

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