di Fabrizio Lemme, da Il Giornale dell’Arte, ottobre 2017

 

Come è stato già anticipato nel numero di settembre di «Il Giornale dell’Arte», il Senato della Repubblica, il 2 agosto 2017 e in sede di seconda lettura, ha definitivamente approvato il disegno di legge «Concorrenza». La nuova normativa, per effetto della «vacatio legis», è entrata in vigore lo scorso 29 agosto.

Nel ddl “Concorrenza”, come è ormai prassi da molti anni, sono inserite le disposizioni più eterogenee e quindi non stupisce che agli artt. 175 e 176 siano inserite nuove prescrizioni in materia di esportazione di beni culturali.

Le nuove norme si possono così sintetizzare:

A: Il tempo di esecuzione che rende rilevante l’obbligo di attestata libera circolazione dei beni culturali di autore non più vivente è elevato da cinquanta a settanta anni.

B: l’esportazione di beni culturali è libera quando il loro valore non superi i 13.00 euro.

C: il limite originario dei cinquanta anni rimane tuttora valido per quei beni culturali che, ad avviso dell’organo centrale del Ministero  (quindi, non del soprintendente regionale) presentino “interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per la completezza del patrimonio culturale della nazione”.

Nel breve articolo di settembre, si accennava ad aspre polemiche che sarebbero già insorte in ordine alla nuova legge. Preferisco astenermi  da esse e illustrare dei problemi di diritto intertemporale che si pongono in ordine ai punti A e B.

La nuova legge nulla prevede al riguardo: è quindi lasciato all’interprete scrutinare se le nuove disposizioni abbiano o meno effetto anche in “praeteritum”, ossia se esse trovino applicazione anche relativamente a opere già presentate senza successo agli uffici esportazione.

Il problema è assai delicato: a stare a un principio radicato nella nostra cultura giuridica (“tempus regit actum”), si dovrebbe rispondere negativamente.

Ma, almeno a mio avviso, nel caso di specie non è così. Infatti, in basa ad un altro principio del nostro ordinamento penale (art. 2 c.p.), ancora più fondamentale perché di rilevanza costituzionale , la legge penale più favorevole che intervenga in data anteriore alla formazione del giudicato trova applicazione retroattiva.

Il problema è quindi di verificare se le disposizioni indicate sub A e sub B abbiano o meno efficacia penale. Infatti, una volta accertata tale qualificazione, le stesse troverebbero applicazione unitaria (vale a dire, anche per gli effetti non penali), non essendo concepibile che una stessa disposizione possa avere diversa valenza a seconda delle conseguenze che produce. Ora, sul concetto di norma penale si è ormai formata, sia nella scienza penalistica che nella giurisprudenza  di legittimità, una opinione comune allo stato insuperabile (il cosiddetto “jus receptum”). La natura di norma penale  deve riconoscersi non solo nelle disposizioni incriminatrici intese in senso stretto, ma anche in tutte quelle altre disposizioni che integrano il precetto penale e gli danno significato e valenza concreti. In questo contesto, non può dubitarsi che la disposizione relativa all’età del bene culturale eanche3 quella relativa al valore integrino il precetto penale di cui all’art. 174 del Codice dei beni culturali( illecita esportazione) e quindi, nel caso di successione di leggi, tali disposizioni debbano trovare applicazione anche “in prateritum”.

Cerchiamo di essere poiù chiari: Tizio è tratto a giudizio per aver esportato, senza attestato di libera circolazione, un bene culturale che ha più di cinquanta ma meno di settanta anni. Il processo è ancora in corso. Il difensore di Tizio  potrà certamente avvalersi della nuova disposizione in ordine all’età del bene culturale per ottenere una sentenza assolutoria sotto il profilo della “abolitio criminis”.

La cosa è assolutamente incontestabile e quindi se ne ricava che se la nuova disposizione  viene intesa, come imprescindibile, in senso indifferenziato, ad essa va riconosciuto effetto retroattivo e quindi, ove il provvedimento di diniego di attestato di libera circolazione sia stato impugnato, il giudice amministrativo dovrà riconoscere il fondamento dell’impugnazione per effetto della norma sopravvenuta.

Un ulteriore argomento a favore della valenza indifferenziata dell’applicazione retroattiva è dato dalla circostanza che l’illecito esportatore  si vedrebbe in caso contrario premiato rispetto a chi, nell’osservanza della legge, abbia chiesto, senza ottenerlo, un attestato di libera circolazione divenuto non più necessario. Ed è questo un fondamentale argomento interpretativo (“ab inconvenienti”).

La conclusione che precede a me sembra sorretta da tale logicità e aderenza ai principi, da non poter essere oggetto di discussione o di contestazione.

M analizziamo anche la diversa ipotesi indicata al punto B, quella del limite di valore.

Il legislatore, introducendo questo limite, si è parzialmente adeguato ai principi generali del diritto europeo, che prevedono un valore minimo del bene culturale,  al di sotto del quale non è consentita la cooperazione  intereuropea per il recupero all’estero.  Che cosa significa, sul piano sostanziale, rendere libera l’esportazione di beni di modesto valore? La risposta è quasi banale: pur se alcuni Soloni lo negano, il bene culturale ha un segno di riconoscimento anche nel suo valore economico e, quando lo stesso sia particolarmente basso, non sembra necessario assicurarne la presenza nel territorio nazionale.

Quindi, se l’abrogazione di una norma penale è da ravvisare in una sopravvenuta perdita del disvalore della condotta punita,  sembra ancora una volta opportuno che anche a tale limite sia attribuita efficacia retroattiva. Certo, si potrebbe ipotizzare il contrario partendo dalla constatazione che il valore del bene da esportare dipende  da un onere dell’esportatore: l’autocertificazione relativa appunto a quanto viene esportato all’estero, sottoposta al riscontro della Soprintendenza e il tutto in momento precedente all’esportazione. Ma supponiamo che l’opera esportata sia di valore insignificante, la cui esportazione sarebbe stata sicuramente consentita per non integrare alcun danno al patrimonio storico artistico della nazione. Prima della nuova legge, il fatto sarebbe stato penalmente rilevante, anche perché l’art. 174 non prevedeva la punibilità dell’esportazione  di un bene culturale di oltre cinquanta anni e di autore non più vivente, quando il danno per il patrimonio artistico nazionale fosse stato inesistente: il reato sussisteva sul piano meramente formale e la minimalità del danno poteva solo tradursi nell’applicazione di una pena particolarmente mite ( ad esempio, la sola multa; ma era pur sempre applicabile la confisca!). Quindi, l’assenza della preventiva autocertificazione potrebbe trovare agevole sanatoria in una perizia disposta dal giudice penale volta ad accertare l’effettivo valore del bene esportato e, dovrebbe semmai configurarsi come un mero inadempimento amministrativo, rilevante ai sensi dell’art. 165 del Codice dei beni culturali e quindi punibile con sanzione meramente amministrativa.

Queste le mie conclusioni sul piano dell’applicazione intertemporale delle nuove norme di legge