di Marilena Pirrelli, Il Sole 24Ore, ottobre 2016
Il collezionista compra le opere d’arte per soddisfare un proprio desiderio, cioè creare e arricchire o aggiornare la propria collezione d’arte. La sua attività ben si distingue da quella dell’operatore professionale che acquista con l’obiettivo di rivendere l’opera e trarne guadagno. A favore di tale interpretazione della qualificazione del rapporto tributario si è espressa con la sentenza numero 826/31 del 9 maggio 2016, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana. «Ha espresso dei concetti favorevoli al contribuente essendo stata chiamata a giudicare una causa relativa all’imponibilità o meno dello scambio di beni (quadri, opere d’arte, oggetti d’antiquariato e altri collezionabili) facenti parte di una collezione privata». Giorgio Orlandini, commercialista e counsel di CBA Studio Legale e Tributario di Milano. «La sentenza della Ctr in parola, confermando le conclusioni dei giudici di prime cure, sempre favorevoli al contribuente, si è espresso in merito a una controversia inerente ad un avviso di accertamento che l’Agenzia delle Entrate aveva recapitato al collezionista, ritenendo susistente in capo al medesimo l’esercizio di fatto di un’attività d’impresa (in particolare di commercio elettronico indiretto, avendo lo stesso effettuato scambio, acquisti e vendite di bottiglie mignon di liquori d’antiquariato), richiedendo il pagamento di maggior Irpef, Irap e Iva su tali redditi», prosegue Orlandini.
Il contribuente da parte sua aveva proposto ricorso eccependo carenza assoluta di motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 55 del Tuir e dell’art.38 del dpr 600/73 e chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato.
«Secondo i giudici della commissione tributaria regionale, per il corretto inquadramento ai fini fiscali, è fondamentale operare la distinzione tra chi acquista i citati beni ai fini speculativi (il mercante d’arte soggetto a tassazione) e l’amatore che compra un opera per tenersela o poi rivenderla al fine di poterne acquisire una nuova (tale figura è quella del collezionista). Il collezionista, dunque, rimane tale fino a quando non assume le caratteristiche dell’imprenditore abituale (requisiti della commercialità), fattispecie che i giudici non hanno ritenuto realizzata nel caso di specie, essendo limitata l’attività del ricorrente ad un numero esiguo di operazioni» conclude l’avvocato Nicola Canessa, partner dello CBA Studio legale e Tributario. Niente capital gain quindi sull’azione di acquisto e vendita di collectible da parte del collezionista.