Cesare Ciani: un artista non allineato

Esiste un nesso tra pittura e letteratura? la risposta non pò che essere affermativa, come attesta un'infinita varietà di esempi che, nel corso dei secoli, hanno animato la storia di quelle arti sorelle. Il fatto che la fonte d'origine di entrambe sia rappresentata dall'animo umano, ha determinato contemporaneamente un rapporto di stretta correlazione anche riguardo alla loro finalità: quelle di raffigurare e raccontare gli stati interiori dell'individuo, dando voce alle espressioni più intime. Del resto, l'inscindibile connubio esistente tra l'immagine figurativa, intesa nella sua valenza di elemento linguistico, ed il suo contenuto narrativo ha costituito, da sempre, una delle più antiche preoccupazioni all'origine, soprattutto, della rappresentazione visiva. Una correlazione, dunque, assimilabile ad un legame simbiotico in cui ciascun elemento esiste in funzione dell'altro, in una perfetta corrispondenza. Valga per tutti  il ciclo di affreschi della Cappella  Sistina di Michelangelo, nel quale l'artista è riuscito a raffigurare, sublimandola, quella sottile relazione  che intercorre tra le immagini ed il loro senso apparente.

Mettendo a fuoco le analogie tra testo letterario ed opera dipinta, ravvisabili nel risultato scaturito da una comune ispirazione, sorge spontaneo il riferimento a casi di assonanza come i lavori futuristi di Balla e Boccioni e i testi di Marinetti; le impressioni macchiaiole di Fattori e le novelle veriste di Verga o i racconti vernacolari di Fucini; i romanzi di Palazzeschi e Pratolini e le scene di vita quotidiana del mondo popolare fiorentino, evocato da artisti nati e cresciuti in seno a quella realtà.

In questo senso la pittura di Cesare Ciani rappresenta uno dei casi esemplari. Essa può essere letta come una sorta d'archetipo delle riflessioni intime di un narratore che, nell'intento di sensibilizzare le corde più profonde dei sentimenti, scegli la sua arte come mezzo di maggiore efficacia espressiva. E se anche questa prerogativa è valsa a procurargli  in vita stima e popolarità inducendo Fattori a definirlo uno dei suoi "allievi maggiori", oggi lo fa rientrare nella nutrita casistica di quei pittori apprezzati dagli intenditori ma non baciati dal successo. All'origine di una mancata definizione critica sta l'annoso problema, comune a molti altri artisti a lui cintemporanei, di essere vissuto e di avere operato in un periodo di transizione, estremamente  complesso per la moderna vicenda figurativa toscana, quando i vecchi protagonisti macchiaioli ancora in vita, cominciavano a sentire l'incalzare della nuova ondata dei giovani pittori naturalisti come Cannicci, i fratelli Gioli e Ferroni e quella dei più irrequieti propagandisti del colore, agli accenti fauves, quali Liegi, Puccini, Ghiglia e Bartolena. L'arte di Ciani, nella quale i valori umani non sono meno preponderanti di quelli tecnici, rifugge in eguale misura dalle innumerevoli declinazioni "postmacchiaiole" e supera in piena autonomia l'urgente difficoltà, avvertita intorno alla metà degli anni ottanta da tutta la vecchia guardia del Caffè Michelangiolo, di dimostrarsi ancora al passo coi tempi.

Dopo un esordio contraddistinto da uno spiccato interesse per il ritratto - una Testa di vecchio segnerà, infatti, nel 1866 il suo debutto alla Promotrice fiorentina, e quello dedicato a Fattori nel 1900 s'imporrà come opere emblematica della delicata congiuntura culturale di fine secolo, oltrechè come eccezionale testimonianza storica del legame affettivo instaurato intorno al 1885 con il maestro livornese dopo l'apprendistato accademico con Giuseppe Ciaranfi - Ciani costruì la propria immagine di artista "moderno"  attraverso la felice e sempre più diffusa tipologia tematica delle scene di vita all'aperto, inserite in contesti naturali, a metà strada tra il paesaggio e la veduta urbana. Il fascino esercitato dai cosiddetti "crocchi" di signoriniana memoria, composti da personaggi umili, ai margini della facciata elegante della Firenze borghese, rispondeva alle risorse di una pittura che, nei suoi soggetti, s'accordava ancora alla visione macchiaiola, aggiornata tuttavia attraverso l'inquadratura di fondali affatto convenzionali e, proprio per questo, scenicamente idonei nella loro fedeltà al colore locale dei vecchi quartieri della città. Questa predilezione per spazi densi di calore umano non fa di Ciani un interprete di puro paesaggio, tutt'altro, egli fu essenzialmente un pittore di figura per il quale la narrazione delle diverse condizioni sociali e, soprattutto, la  caratterizzazione individuale, psicologica, drammatica e sia pure "domestica" dei modelli rappresentò sempre il motivo di maggiore attrazione. Da ciò emerge un modo popolato da gente comune, ancorato alla realtà più semplice e dedito ai mestieri più umili, come il ciabattino, il fabbro - proprio un dipinto ispirato a questa figura siglò la sua partecipazione alla Promotrice fiorentina del 1900 - la trecciaia, la mondatrice e , più in generale, i lavoratori dei campi impegnati nelle loro mansioni quotidiane e, le cosiddette comari o "ciane", le caratteristiche donne che con i loro sussurati racconti animavano il ritmo lento della vita che scorreva nei piccoli paesi, lungo le rive dell'Arno. Scene di vita comune, sostenute da una maestria e da una naturale e sicura padronanza dei mezzi pittorici che, se da un lato non nascondono la matrice d'origine, dall'altro attestano una chiara determinazione al suo rinnovamento, permettendo all'artista, soprattutto dopo il soggiorno parigino del 1899, in occasione dell'Esposizione Universale, di confrontarsi sul difficile terreno delle risonanze luministiche e cromatiche delle immagini. Quella di Ciani è, infatti, una formazione esemplata precisamente sulla visione teorica e sperimentale del realismo toscano del secondo Ottocento, permeata di una forte ascendenza signoriniana, che connoterà soprattutto la produzione del decennio a cavallo del secolo. Nei primo anni del Novecento la base disegnativa prima così evidente si attenuerà progressivamente per lasciare spazio ad una pennellata dal tocco estremamente sfumato e ricco di variazioni tonali, sempre contraddistinta però da una densità materica, unico elemento di congiunzione con il rutilante e acceso cromatismo del postmacchiaiolo livornese. Una pittura, si potrebbe dire, al tempo stesso schietta e di complessa elaborazione, capace di adattarsi perfettamente al particolare rapido mutare degli indirizzi del gusto novecentesco e che ani, nella sua trattazione compositiva, ne testimonia i preziosi intrecci ed i vari riferimenti culturali, segnandone la progressiva evoluzione. Alla stregua di un Rosai ante litteram il suo maggior vanto consistette, davvero, nel procedere ad una cesura con il tradizionale lessico toscano di matrice ottocentesca - impresa davvero titanica alla luce del forte condizionamento esercitato sugli artisti della sua generazione da personalità egemoni quali Lega e Fattori - riuscendo a mutare la "macchia" da strumento d'indagine del reale, a terreno fertile nel quale riversare nuovi stati d'animo  sensazioni derivate da una realtà che ha cambiato la sua cornice sociale. Sarà, infatti, questo il carattere più originale della sua opera, dove la singolare trasposizione dei vecchi canoni figurativi, a confronto con un nuovo modo di concepire il presente, apparirà straordinariamente risolta.

A distanza di un secolo dalla nascita del pittore, è legittimo fare un bilancio della fortuna che, confermatasi attraverso una presenza costante alle esposizioni, ha seguito un diagramma molto particolare. Dopo essersi segnalato ad alcune Promotrici - a questo proposito va ricordato che, mentre a Torino, Napoli e a Genova si trattò di casi sporadici, la sua partecipazione a Firenze continuò quasi ininterrottamente sino al 1922 - l'interesse da parte della critica si fece più intenso, come sovente accade, all'indomani della sua morte avvenuta nel febbraio del 1925. A favorire la nascita di un collezionismo mirato, concentrato, soprattutto negli anni Trenta e Quaranta contribuì, nel 1926, il successo tributatogli in occasione della mostra commemorativa, allestita nei locali della Galleria dell'Accademia fiorentina, composta da una rosa di circa centottanta dipinti. Il mercato che è seguito  è sempre stato scandito da una riflessione e da un dibattito sull'effettivo valore di una personalità priva di etichette e non "allineata" nel panorama artistico toscano di fine secolo. Senza ombra di dubbio il fascino delle sue scene contadine, ispirate a sentimenti patetici e popolari risiede proprio nel loro sfuggire a qualsiasi codificazione stilistica, sia essa di natura naturalista o impressionista. Contemporaneamente è lecito, però, riconoscere che proprio questa ricerca di una caratterizzazione della propria identità pittorica, così successiva e personale rivela, suo malgrado, la diretta ascendenza con quel mondo macchiaiolo, oramai scomparso, ma sempre avvertibile nelle struggenti atmosfere contadine di una cronaca senza tempo.

 

Elisabetta Palminteri Matteucci


Focus su Gaetano Previati

 

Nella circostanza  dell'importante mostra a Milano presso Palazzo Reale"Simbolismo. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra" sino al 5 giugno 2016, riproduciamo uno stralcio del testo "L'opera religiosa di Gaetano Previati":

"Gli  avvenimenti dell'esistenza di Gaetano Previati sono tutti nelle opere sue. La queta, modesta esistenza, rotta da fatti dolorosi e intimi, fu soltanto segnata, come per molti degli uomini più profondi dell'umanità, dalla sua produzione, che esprime tutti i rivolgimenti del suo animo, l'ansia sua continua di perseguire forme che meglio rispondano ad una visione difficilmente pensata, penetrata attraverso pene di elaborazione spirituale. Per la sua arte fu un uomo fuori della vita. Considerò le cose da lontano, fervendo col suo pensiero il lavoro onniforme della grande città di Milano, che si agita presso lo studio dove da molti anni lavora, in cospetto della mole del Duomo.

Per comprenderlo vale rifare la sua educazione artistica.

Egli nacque a Ferrara da Flaminio, modesto orologiaio, e da una donna di alto sentire, Isabella Bonlei, di famiglia che rivendicava qual suo fondatore quel Childeberto Buglione che venne di Francia nel 1216 con mille lance, travagliando assai Azzo d'Este, e tra i discendenti del quale fu pure il Bonleo che l'Ariosto ricorda nella satira quinta. Ma non da essa potè trarre insegnamenti ed immagini l'artista. Egli si foggiò meglio accanto a Cornelia Facchini che, al padre di Gaetano da novello matrimonio congiunta, ebbe per il giovinetto squisita tenerezza.  E nella città sottoposta al governo papale, piena di conventi e di chiese bellissime, essa educò l'animo del futuro pittore ad una religione profonda e raccolta. Dipinti e stampe incorniciate, libri ed oggetti devoti, una statua della Madonna tutta a colori, porgevano una continua serie di immagini religiose che si ripercuoteva nello spirito suo per uno squillare mistico di campane che a lui giungeva dalla vicina chiesa dell'Amore.

Giovinetto, fu attratto dal fascino di quelle visioni insieme a quegli ammaestramenti che dalla scuola, dal luogo, sonante di memoriee splendido delle bellezze artistiche del castello, di San Domenico, del Duomo, dei palazzi di Schifanoia, de' Roverella, de' Scrofa Calcagnini, dalla vita militare e dalla scuola d'arte gli venivano ampie e possenti.

Il suo primo periodo d'arte ispirato da Giuseppe Bertini, che gli fu maestro all'Accademia milanese, del quale non tutto il male che s'è detto corrisponde a precisa realtà, chè egli ebbe visione nitida e non di rado efficace dell'arte , indulge alla pittura di moda e, dal 1880 anno in cui espose a Torino il grande quadro del "Cesare Borgia a Capua" fino al 1891 in cui espose a Milano la squisitissima "Maternità", egli produce opere d'impronta risolutamente personale, che sanno gli accenti di una verità ricostrutta penosamente nel proprio animo, che sono sforzi per una liberazione geniale, che sono ansimare di ricerche tecniche spirituali.

Dagli "Ostaggi di Crema" oggi a Brera (1879), livida apparizione di dolore, quest'ansia si perpetua nella "Pia fanciulla dei tempi barbarici" nello "Sciesa", nel "Carlo Alberto" nelle "Fumatrici di Haschisch" ne'  quali quadri, alle formule concrete del Bertini, fa seguito un sensibilizzarsi cremoniano che si diffonde inntinte violacee di chiaroscuro, in sapienti giochi di luce. Spesso, in tal epoca, la sua espressività rimane come soffocata in iscenette settecentesche, in figure di armigeri del cinquecento, di duellanti, in iscene di pastorelle, che formano il sustrato realistico dell'opera sua, e dal quale rifugge presto, pur operando sotto questo impulso il quadro del "Re Sole" i cui erompe tutta la sua smania di esprimere figurazioni che abbiano un contenuto d'idealità.Ed egli stesso dichiara che il suo "Luigi XIV" non è l'uomo della Mancini, della Vallière, della Montespan e della Maintenon, e che nell'ambiente del quadro non ricorda il lusso fantastico di S. Cloud o di Vaersailles, ma si sforza di dar forma concreta alle parole con cui Voltaire spiegava di voler dare nella Storia del secolo di Luigi XIV "non les actions d'un seul homme, mais l'esprit des hommes dans le siècle le plus éclairé qui fût Jamais".

Da questa stessa intenzione nacque il sogno delizioso del "Viaggio nell'azzurro", due sposi che, in una berlina signorile, portano la fiamma che li unisce, in un'epoca lontana fatta di gentilezze.

Il periodo di trasizione assume gli aspetti più copiosi. La pittura storica, quale era stata compresa dal Previati nel suo vero senso, che non è di rendere i dettagli dell'erudizione, dell'archeologia e dell'etnografia , ma di rappresentare , con forte e suggestivaevidenza, attraverso la mano e la mente del pittore, ciò che le pagine di storia ci rappresentano per altre vie, si allontanò del tutto da lui, come, un poco, dall'età nostra. Le sue creazioni muovono invece a ricercare il fascino di melodiche passioni umane. E così nasce quel suo delizioso "Notturno" in cui la donna, sperduta nella balaustrata che taglia il cielo vibra di un attimo di sognata dolcezza.

Allora la tecnica divisionista guadagnò il Previati. Egli trovò la tecnica più profonda, più vera, più adatta alle grandi cose che maturavano in lui.

Dalla rappresentazione della vita volle assurgere alla rappresentazione delle immagini, delle idee che il suo pensiero, eminentemente pittorico, vedeva concretarsi in forme decise. Il bisogno suo d'artista,di vedere e d'intendere le cosecome luce e come forma gli fece comprendere nella tecnica del Segantini una maniera nuova d'intendere  che materiava la luce. La luce del Segantini, la mutò poi, ma con essa, il suo pensiero trovò il modo della sua espressione ed il suo tormento di ricercatore, fisso in idealità lontane, si affinò. Morì in lui l'uomo antico.........."


"Ritratto sorella" di Casorati: gli eredi vincono l'appello

di Marilena Pirrelli, da Plus24 - Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2015

La Corte d'appello di Torino ha pronunciato ad agosto una sentenza sull'impugnazione promossa da Annamaria Paravidino, con cui conferma la proprietà del quadro "Ritratto della sorella" del 1925 in capo agli erdei di Casorati.

In breve la vicenda sull'accertamento del diritto di proprietà di un'opera d'arte famosa e di valore rilevante: il quadro, esposto nel 1926 alla "I mostra del Novecento Italiano" a Milano , nel 1927 a Ginevra e Pittsburgh, nel 1928 a New York e San Francisco, mai messo in vendita, viene sotratto dalla villa di Felice Casorati a Pavarolo nel gennaio del 1963 ( secondo i giudici all'epoca valeva 5 milioni di lire), due mesi prima della sua morte.

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Il peso del mercato nell'arte

di Lorenzo Bini Smaghi, da Il Sole 24 Ore 25 ottobre 2015 (L'articolo è disponibile nella sua versione integrale su www.aspeninistitute.it)

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Biennale, via i lacci da import/export

Intervista a Fabrizio Moretti, Segretario generale Biaf

di Marilena Pirrelli da Plus24-Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2015

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