di Alfredo Calvano, Il Sole 24 Ore, 17 marzo 2014

 Il Quesito:

Alcuni anni fa ho ereditato una collezione di monete e oggetti di antiquariato – alcuni mobili e diversi tappeti. Ho tenuto questi beni a lungo, ma ora mi trovo costretto a metterli in vendita. Avrei già individuato un potenziale compratore, che è un antiquario professionista. Vorrei sapere se sul ricavato di questa vendita devo pagare le imposte e, in caso affermativo, come quantificarle. Aggiungo che sono un insegnante e, da un paio d’anni, impartisco lezioni private, il cui importo nel 2013 ha superato, anche se di non molto, 5mila euro. Mi sembra di ricordare che oltre i 5mila euro scatti un diverso trattamento fiscale. Vorrei un chiarimento e, in particolare, vorrei sapere se i due redditi si sommano.”

La vendita di mobili e tappeti di pregio – se effettuata da una persona fisica che agisce in forma privata – evita il prelievo fiscale. Per arrivare a questa conclusione, però, è importante qualificare correttamente, da un punto di vista tributario, le operazioni economiche eseguite dal contribuente: nel caso prospettato dal lettore, il riferimento più appropriato pare essere quello dell’articolo 67 del Tuir.

Ma andiamo con ordine. In base all’articolo 67, i compensi conseguiti per le lezioni private comportano il realizzo di un reddito diverso, a titolo di lavoro autonomo nonn esercitato in forma abituale (lettera l, articolo 67). E’ ininfluente la consistenza dell’importo percepito annualmente, il cui ammontare deve essere, comunque, compatibile con l’occasionalità dell’attività.

La cessione degli oggetti d’antiquariato, invece, per assumere valenza reddituale presuppone un intento speculativo (relazione governativa all’articolo 81 Tuir, ora articolo 67), che si potrebbe ravvisare qualora il cedente si avvalesse direttamente dell’impiego di mezzi organizzati. L’assenza, nello specifico, di questo presupposto porta ad escludere l’intento speculativo. Considerazione rafforzata dal fatto che i beni sono stati ereditati e comunque non sono compresi nell’elencazione tassativa della norma. E questo indipendentemente dal fatto che si vendano i beni ad un antiquario o, ad esempio, a un privato, magari anche attraverso inserzioni su internet.

Sottola voce “Redditi diversi”, l’articolo 67 enumera fattispecie impositive caratterizzate dal fatto di essere realizzate in modo non abituale, al di fuori cioè di un’ordinaria attività d’impresa o di lavoro autonomo (comma1). L’abitualità viene individuata invece come la condizione essenziale che determina  l’esercizio professionale di queste attività: in tal senso sono testualmente formulati, sia ai fini Irpef che Iva, gli articoli 53 e 55 del Tuir, e gli articoli 4 e 5 del Dpr 633/72: Questo elemento selettivo, tuttavia, è piuttosto evanescente e non offre un criterio univoco immediatamente comprensibile dai contribuenti.

Ciò è stato percepito anche dall’Amministrazione finanziaria, che con la circolare n.7 del 30 aprile 1977 ha fornito una prima specificazione dell’abitualità come “… un normale e costante indirizzo dell’attività del soggetto, che viene attuato in modo continuativo”. Questa definizione è stata ampliata in modo significativo e  poi ripresa annualmente dalle istruzioni al modello Unico persone fisiche, fascicolo III (con riferimento al lavoro autonomo, ma valevole anche ai fini imprenditoriali), ove viene ricordato che: “Il requisito della professionalità (abitualità) sussiste quando il contribuente pone in essere una molteplicità di atti coordinati e finalizzati verso un identico scopo con regolarità, stabilità e sistematicità”. ma non solo, vengono anche messe a confronto concettualmentel’abitualità e l’occasionalità, evidenziando che quest’ultima si diversifica dalla prima poichè “…implica attività episodiche, saltuarie e comunque non programmate”. In sintesi, l’attività diventa abituale qualora con essa si persegua:

1 un identico scopo;

2 attraverso il coordinamento di una molteplicità di comportamenti;

3 posti in essere con sistematica, programmata e regolare continuità.

 

La concomitanza, quindi, di questi elementi comporta per il contribuente persona fisica l’assunzione di una “stringente” soggettività tributaria Irpef, Iva, Irap, che si estende intuibilmente anche agli adempimenti formali, con l’obbligo di adozione di scritture contabili, registri Iva eccetera. Non viene invece richiesto, per espressa previsione normativa, che l’attività sia esclusiva, potendo essa coesistere con altre fattispecie lavorative (ad esempio, lavoro dipendente). E’ possibile notare come nelle definizioni elaborate dall’amministrazione finanziaria non si faccia riferimento al “valore economico e/o patrimoniale” dell’attività, quale ulteriore elemento di individuazione del suo profilo impositivo.

Sotto questo aspetto, tuttavia, è intervenuta la risoluzione 204/E/2002 (in senso analogo la risoluzione 273/E/2002) che, riportandosi a conformi precedenti giurisprudenziali (Cassazione 3690/1986; 267/1973; 97/2005;870/1964), ha ritenuto che la qualifica di imprenditore può essere assunta anche “in relazione a un solo affare, in considerazione della sua rilevanza economica”.

Il caso preso in esame ha riguardato l’acquisto estemporaneo di un locale, e la sua successiva suddivisione in 49 box destinati alla rivendita, da parte di due coniugi, i quali per lo scopo hanno assunto soltanto un (considerevole) impegno finanziario, appaltando l’esecuzione dei lavori a terzi.

La qualifica di imprenditore, argomenta altresì il documento di prassi, deve essere attribuita anche a chi utilizzi e coordini soltanto il proprio capitale per fini produttivi, non essendo necessario che la funzione organizzativa dell’imprenditore abbia ad oggetto anche le prestazioni lavorative altrui, oppure che i mezzi di cui egli si avvale siano fisicamente percepibili.

La risoluzione indirettamente afferma che la realizzazione dei box non avrebbe implicato l’assunzione della veste imprenditoriale se fosse stata finalizzata non alla rivendita, ma all’utilizzo personale o di familiari (evidentemente, per la mancanza di un intento speculativo).