Ram. Testo critico

RAM: La realtà metafisica

 Le Muse Galleria d’Arte 

26 dicembre 2013 – 7 gennaio 2014

corso Italia, 21

 

a cura di Susanna Ragionieri

ram copertina stampaPittore, scultore, cartellonista, scenografo, illustratore, Ruggero Alfredo Michahelles, conosciuto con lo pseudonimo di RAM, insieme al brillante e più noto fratello maggiore Ernesto, in arte Thayhat, famoso inventore del rivoluzionario abito tuta, rappresenta ancora oggi un caso singolare di artista polimorfo difficilmente etichettabile se non prendendo a prestito la definizione che Alberto Savinio coniò per se stesso, di «centrale creativa».
Proveniente da un’agiata famiglia cosmopolita impiantata a Firenze dalla metà dell’Ottocento ad opera di Hiram Powers, famoso scultore americano e bisnonno materno, Ram era cresciuto in un ambiente aggiornato e internazionale, esordendo giovanissimo come illustratore e vignettista, e rivelandosi poi come scenografo con l’allestimento di Aida, realizzato insieme a Thayaht, e premiato nel 1924.

In realtà il suo apparente eclettismo, già lo aveva notato Raffaello Franchi nel 1926, celava al fondo, una quasi tangibile coerenza di ispirazione e di intenti per cui l’arte gli riesce «positiva e precisa pur cambiando ispirazione e forma». Una sorta di basso continuo, individuabile nella ricerca di una bellezza moderna, spregiudicatamente attinta da tutti gli aspetti della vita, compresi moda e industria (da cui le significative tangenze con il Futurismo), e perseguita stilisticamente attraverso una progressiva decantazione visiva nella struttura dell’immagine e della luce, percorre tutta l’opera dell’artista. Questa intenzione, se poteva già trapelare nel sintetismo monumentale e straniante delle scene di Aida, avvicinabili, come è stato notato, alla lezione di Gordon Craig, così come nell’uso sperimentale di fasci geometrici di luci colorate, trova una sua lenta ma consapevole maturazione nei dipinti eseguiti fra 1926 e ’28, alcuni dei quali esposti nella prima importante personale dell’artista a palazzo Feroni. Opere come La tenda gialla (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti), o Composizione di nudi, qui presentata, indicano con sufficiente chiarezza la ricerca di trascendenza visiva esercitata sull’immagine dai volumi torniti, o dalle accensioni minerali dei gialli, dei blu, o delle carni di porcellana, misurati sulle raffinate temperature antinaturalistiche degli autori del Seicento fiorentino resi noti dalla grande mostra del ’22.

È tuttavia dal 1930 che si annuncia una vera e propria svolta della ricerca pittorica di RAM, caratterizzata per il decennio a venire, da una particolare e personale esperienza “neometafisica”, in cui entra in gioco, in maniera originale ed ancora non del tutto indagata, la complessa esperienza parigina. Vissuto per lunghi periodi nella capitale francese –dove il fratello aveva lavorato per Madeleine Vionnet – fino dai primi anni Venti, frequentando i crocevia internazionali costituiti dagli atelier di Maurice Denis, di Otto Friesz, e di Alexandre Jacovleff, RAM appare vicino agli «Italiens de Paris» -soprattutto a Magnelli, Tozzi, Paresce, e de Chirico-con i quali condivide molti aspetti della ricerca visiva. Dal nuovo decennio, nelle opere di RAM, si avvia dunque un particolare processo che, sottraendo all’immagine ogni residuo aneddotico, ne trasforma la struttura compositiva e spaziale con risultati non lontani da quelli di Severini o di Tozzi, e incide sulla plasticità stessa delle figure, sempre più evidenziata come in Campigli, mentre il colore si accende di una luce interna e pura, come accade nelle opere coeve di Magnelli, e su queste immagini/visioni un’eco sospesa di solitudine e di attesa rimane ad aleggiare con un sottile richiamo a de Chirico.
1. RAM  Le mannequins ridotto per webL’Ile de Cythère, esposta a Parigi nella personale alla galleria «Le Niveau» nel novembre del 1936, dimostra lo stato di grazia raggiunto in questa nuova stagione. De Chirico stesso scriverà per il catalogo un breve testo, teso a riassumere le tappe poetiche dell’illuminazione metafisica. Se essa è definibile come qualcosa che può toccare la vita di ognuno «dans certaines circonstances», solamente l’artista possiede la chiave per dare forma poetica a questo insondabile mistero. E nelle opere di RAM, attraverso «un jeu de couleurs et de formes architecturales, du rythme dans l’espace», dove anche «les sujects inanimés ont une vie à eux et deviennent des personnages», esso si palesa finalmente luminoso e persuasivo.
I dipinti presenti in mostra, riferibili in gran parte a quelli esposti alla galleria «Le Niveau» o comunque eseguiti nel medesimo giro d’anni, indicano compiutamente il ventaglio delle predilezioni poetico-espressive dell’artista: vi si trova il tema dell’isola senza ombre (L’ile sans ombres) che sembra rovesciare attualizzandolo con riferimenti al moderno razionalismo architettonico (amato dall’artista che partecipò al concorso per la nuova stazione di Firenze con una installazione scultorea nel progetto degli architetti Bianchini e Fagnoni), il significato boeckliniano de L’isola dei morti, al cui posto si costruisce un’edenica isola dei vivi. Identica tensione appare nel rapporto figure/architetture/luce de Gli sposi, ambientato sull’arenile abbagliante di una Viareggio sognata. In altre opere, come ne Le mannequins senza volto sulla riva del mare, il tono si fa sottilmente intrigante ed enigmatico, fino a raggiungere l’inquietudine in Cataclysme o in Bouquet prehistorique. Dove l’evocazione di rovine di radice romantica si tinge del visionario riferimento al paesaggio dell’epoca terziaria -come in Savinio- ma anche dell’immaginazione di un ipotetico futuro in assenza dell’uomo, ormai destituito dal ruolo di protagonista assoluto.