Pasini Alberto, Transito di una carovana
1859
olio su tela, cm 118,50×198
firmato e datato in basso a sinistra: “A. Pasini, 1859”
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“Ai confini del mondo “una carovana corre e s’arrampica furiosamente”
«…Il n’est pas besoin de vous dire, Monsieur, que le principal objet de votre mission est précisément d’offrir à la cour de Téhéran cette appui moral qui lui est nécessaire pour se dégager entièrement des suggestions aux quelles este en butte de la parte de la Russie…». Fu così che Mon. Le Ministre Plénipotentier Prosper Bourée partì nel 1855 per raggiungere Téhéran e non già per l’Armenia, tragitto tradizionale, bensì risalendo dal Golfo Persico. Con sé avrebbe portato il celebre conte Joseph Gobineau e uno sconosciuto giovane pittore parmense Alberto Pasini, quale illustratore ufficiale della missione. Per quest’ultimo la scoperta dell’Oriente rappresentò un’esperienza di forte presa emotiva, al punto da influenzarne l’arte in maniera altamente significativa. Dello stupore e delle sensazioni provate di fronte a quell’inconsueto paesaggio, si ha testimonianza grazie ad un rendiconto del viaggio, scritto dal pittore per i familiari: «…Assisi e coricati sotto la tenda, ci riposammo del corpo, mentre l’occhio si pasceva della vista del campo che comunicando quasi da tutte le parti col nostro andava stendendosi per l’immensa pianura a dritta della quale parallelamente alla nostra linea di marcia ergonsi successive catene di montagne sassose ed a sinistra, a grandissima distanza, il mare (…). Dalachi giace all’estremità dell’immensa pianura che Bouchir divide dalla catena dei monti che all’indomani dovevamo salire per portarci nel territorio del Casroum nella provincia di Shiraz…».
Pasini non è mai montato a cavallo. Ora deve affrontare una cavalcata di migliaia di chilometri, equipaggiato con un ombrello, un bastone ed uno sgabello; a tracolla porta un sacco di pelle contenente due cartelle piene di schizzi ed alcuni fogli di carta da disegno.
Il percorso, una volta cammino reale, è ridotto alla piatta, liscia superficie pietrosa della montagna senza appigli per gli zoccoli degli animali. Sale, fra dirupi e precipizi, per montagne di insuperabile bellezza ma di inusitata asperità. Sono i Monti Zagros che precludono l’antica e vera Persia, quella di Shiraz dai giardini di rose e melograni, di Ispahan dalle arabescate, meravigliose moschee. Le catene si susseguono e i valichi – Passo della giovane figlia o Passo della vecchia donna – sono tutti alti e scabrosi.
Ma, incredibilmente, le portantine, i cavalli, le masserizie e gli uomini della scorta, sono riusciti a superare ogni difficoltà ed all’ultimo valico vi è la stupefazione per l’immenso cielo che, fino ad allora stretto da pareti vertiginose, chiude ora, nell’infinito, uno dei deserti più grandi e inospitali del pianeta, quello del Khorasan.
Già tutta la carovana ha superato allo spasimo l’impervia salita ed è presa dall’impeto della discesa; scalpitando, ha distanziato il giovane artista che si è attardato, per far sì che le sue mani guizzino sul sottile fogliolino di carta, le macchine fotografiche, infatti, non sono ancora pronte a sostituirle, e la meraviglia si traduca in immagine anche se sconvolge per la sua vastità. Ora le parole di Eugène Fromentin, il maggior pittore orientalista del momento, autore di “Une Année dans le Sahel” pubblicato proprio quell’anno, gli vengono alla mente: «…L’Oriente est hors de toute discipline, il traspose, il invertit tout; il renvers les harmonies dont le paysage a vécu depuis des siècle…Je parle de ce pays poudreux, blanchatre, un peu cru dès qu’il se colore, un peu morne quand aucune coloration vive ne le rèveill…rigide de forme, dessiné en largeur plus qu’en hauteur, tres net, sans vapeur, sans atténuation, presque sans atmosphère appréciable et sans distance…»
Deve imprimere sulla carta l’aria limpidissima, quella pianura non di grano marezzata ma d’ombra di nuvole, quei monti dalla pietra metallizzata per gli eccessi del tempo. Preleva dalla sacca di pelle un foglio bianco e lascia che la sua mano, con tratto veloce e sicuro, vi traduca le sensazioni in linee e colori.
Ecco il disegno è finito. Come un “reporter” che fissa con attenzione il mondo circostante, Pasini vi ha messo tutto: i due cani, il cavallo bianco senza sella, le portantine che traballano, la carrozza di Bourée ed il polverone sollevato dalla carovana. Questa pausa però lo ha distanziato dal gruppo. Si accorge di non avere più tempo, deve raggiungere gli altri, al più presto.
Intanto l’eco dell’impresa è giunta sino a Parigi. Un importante giornale, L’Illustration, Journal Universel, ha tenuto informato il pubblico su quell’eroico viaggio, illustrando gli articoli di Meynard proprio con i disegni di Pasini, che la tecnica della riproduzione litografica, allora appena agli esordi, non consente di apprezzare in tutta la loro efficacia realistica.
Al suo ritorno in Francia, nell’agosto del 1856, l’amico Théodore Chassériau, nel cui studio il pittore lavorava prima di partire è morto, ed i compagni conosciuti durante il periodo di apprendistato sotto Eugène Ciceri si sono dispersi.
Ecco allora che la consapevolezza di essere giunto ad un punto di svolta oltre il quale o si va incontro al successo, oppure ci si avvia inesorabilmente verso un futuro segnato dall’oblio spinge Pasini ad emergere, facendosi strada.
Il Salon del 1859 si presenta come l’occasione più propizia. La presenza di “astri di prima grandezza”, quali Delacroix, Millet e Corot, ha, infatti, acceso i fari sull’importante manifestazione al palazzo degli Champs-Elisés, sebbene proprio sulle loro opere si appuntino i giudizi più pesanti da parte della critica.
Pasini pensa ad un grande capolavoro, sintesi della sua esperienza d’uomo e d’artista, concepito secondo uno sviluppo compositivo di ampio respiro, dove il richiamo all’Oriente, verso il quale sempre più si sente attratto, possa costituire il pretesto per dare la migliore prova di sé, anche come pittore paesaggista. Il disegno è lì, pronto ad offrigliene lo spunto; nella brevità di quell’istantanea, dove il senso della realtà si fonde in una suggestione vagamente onirica, coglie l’opportunità per la messa in opera di un progetto ambizioso: un poema dedicato alla luce e alla natura.
Si lancia, fiducioso, nell’impresa e il risultato finale è un grande telero (120×205 cm). Il Salon lo accoglie, proponendolo nel catalogo con il titolo Passage d’une caravane à travers les defilès qui séparent la Perse des grandes steppe du Khorasan.
Il quadro segna, di fatto, per le dimensioni eccezionali, un unicum nella produzione di Pasini di questo periodo cui fanno seguito solo altre quattro tele con le stesse caratteristiche: La sosta di una carovana (1859), Una carovana che si prepara a mettersi in cammino sulla strada di Shiraz a Ispahan in Persia allo spuntar dell’alba (1864), Corvée per il trasporto dell’artiglieria nelle montagne di Shiraz (1864), Lo Scià di Persia mentre percorre le province del suo regno (1867). Siamo, infatti, ben lontani dalla produzione corrente destinata ad abbellire le pareti domestiche della aristocrazia emergente e della borghesia consolidata; per la prima volta, si tratta di dimostrare la propria abilità compositiva su vasta scala e corrispondere, così, alla “grande envergure” del Salon.
La partecipazione è premiata con una medaglia. La tela della carovana piace al signor Delon che la compera per 1.000 franchi, ma il Re del Wurttemberg pur di averla è disposto a raddoppiare la somma. Allora si rendono 1.000 franchi al signor Delon e la si consegna al Re per 2.500, annotando tutto, con cura, sul vecchio passaporto, usato ormai come libretto d’appunti. Il Monde Illustré ne pubblica un’incisione ad opera di Charles Maurand.
Del quadro si parla ancora nel 1878 quando Jules Claretie, estimatore della moderna pittura italiana ed amico di de Nittis, ne segnala, su L’Indépendence, fornendo un’indicazione non del tutto corretta, la presenza al Museo di Stoccarda. E via via nel tempo è puntualmente citato nelle varie monografie sull’artista da Burraschino, Seletti, Ferrero, Arienti, Belforti, Roux e Soresina.
A Cavoretto, un pittore ripercorre la sua lunga vita. E’ forse perché un giorno è ricomparso per caso un disegno ormai ingiallito e come scriveva Valanciennes: «Il est vrai que ces étude ne sont pas des tableaux, mais on le garde dans le portefeuille pour les consulter et en faire son profit à l’occasion ?». O la memoria, come suole con i vecchi, ha riproposto, inaspettata, vivida ed intatta un’antica emozione?
Sul cavalletto una tela bianca (50×73 cm) si fa sfiorare dalla magia del pennello che la dissolve in cielo, aria, luce, monti. Tutto ritorna presente: come sei ancora bella, mia giovinezza vissuta.
Alla villa della Rabaja, fra i campi amati, è piacevole, gratificante ritrovarsi con gli amici. Anche Carotti nel 1895 arriverà in quest’eremo bellissimo sulla collina di Moncalieri, a Cavoretto, e Pasini, fra tutti i quadri del suo studio, vorrà fargliene vedere uno solo, quello che più gli sta a cuore perché qui si è concesso la gioia di assecondarsi, ha reso più libera la pennellata ed ha piegato la realtà alla sua volontà coloristico-pittorica.
Si tratta della rievocazione, a distanza di anni, della grande tela raffigurante la Carovana del deserto; il dipinto che, nella fase degli esordi, tanta notorietà e successo gli aveva assicurato nell’ambiente parigino.
A Carotti questa variante tardiva non sembra finita, lontana come è dal tocco puntiglioso che caratterizza le opere commissionate dal mercante Adolphe Goupil per i collezionisti francesi.
E così il critico la ricorderà, trascrivendo le impressioni di allora, nella memoria biografica dedicata a Pasini, sulle pagine della rivista “Emporium”: “…Tutti monti alti, grigi, aridi, sabbiosi e polverosi, dalle forme vulcaniche, or scoscesi, or ondeggianti, lacerati da solchi profondi, poi più in là, a sinistra, tutta una lunga catena di altri monti dello stesso carattere, ed a destra una sterminata pianura grigia, muta, sepolcrale e nuda come un deserto. Nel fondo una lunga catena sbarra tutto ed al di là un’altra catena ancora. Un bel cielo azzurro di cobalto, tenero, (…) colle nubi bianchiccie, leggiere, armoniose, sorridenti, che proiettano ombre di color d’oltre mare sui monti ondulati e sulla immensa pianura. In tutta questa vasta natura, non un fil d’erba, tutto è arido, ma sul dinanzi nella gola del primo piano che sale ripidamente sul dorso di un colle o sperone, una carovana corre e s’arrampica furiosamente. La salita è penosa, aspra, cattiva, bisogna superarla al galoppo. I cavalli si impennano, si urtano, scuotono i loro cavalieri, scuotono le portantine, tutto si agita, si urta, sbalza a destra e sbalza a sinistra, e qui tutto è colore, un brillar di rossi, gialli, bruni, verdi vivaci come il fuoco, le groppe dei cavalli rossicci, de cavalli bianchi, brillano come la seta al sole, tutto s’agita e par di sentire tutto il vociare ed il gridare per animarsi e per spronar le cavalcature: il silenzio sepolcrale di quel deserto montuoso è stridulamente scosso come dal garrire acerbo dell’avoltoio…” (cfr. G. Carotti, op. cit , pp. 494-495).
E’ dunque, ancora, la carovana di quel viaggio indimenticabile. In tanta festa di colori e di purezza, il vecchio pittore ha voluto prenderla per il suo ultimo sereno orizzonte.
V. Botteri Cardoso, brochure di presentazione del quadro, “Le Muse” Galleria d’Arte, Cortina d’Ampezzo, 26 dicembre – 6 gennaio 2002
Bibliografia
A. Houssay, Salon de 1859, in “Le Monde Illustré”, n. 285, Parigi, 1859; J. Clareti in “L’Indépendence”, Parigi, 19 giugno 1878, n. 170; Burraschino, Arte e Artisti-Alberto Pasini in “Fanfulla”, Roma, 9 ottobre 1878, n. 275, p. 3; E. Seletti, La città di Busseto, capitale un tempo dello Stato Pallavicino-Memorie storiche, Milano, 1883, p. 293; A. Ferrero, Alberto Pasini, l’uomo e l’artista in “La vita italiana”, Torino, 1894-95, p. 30; L. Arienti, Alberto Pasini in “La Gazzetta di Parma”, 20 dicembre 1899, n. 352, p. 1; G. Carotti, Artisti contemporanei. Alberto Pasini – In Memoriam in “Emporium”, vol. X, n. 59, Bergamo, dicembre 1899, p. 499; A. Belforti, Alberto Pasini in “L’Oriofiamma”, Chieti, 1900, p. 25; O. Roux, Illustri italiani contemporanei. Memorie giovanili autobiografiche, Firenze, 1909-10, p. 169; M. Calderini, Alberto Pasini pittore, Torino, 1916, p. 27 (cit.); D. Soresina, Enciclopedia diocesana fidentina. I personaggi, Fidenza, 1961, p. 340; V. Botteri Cardoso, Pasini, Genova, 1991, p. 251, fig. 173.1; M. A. Fusco, Orientalismo e richiami esotici in “Pittori & Pittura dell’Ottocento italiano”, vol. V, Novara, 1997-99, pp. 98-99; A. Ottino Della Chiesa, L’Arte Moderna dal Neoclassicismo agli ultimi anni, Touring Club Italiano, Milano, 1968.