Michahelles Ruggero Alfredo (RAM) (1898-1976). Biografia. Quadri in vendita.

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Ruggero Alfredo Michahelles in arte RAM nasce a Firenze il 30 maggio del 1898 da una famiglia benestante e cosmopolita di intellettuali artisti, discendente dal famoso scultore neoclassico americano Hiram Powers. Giovanissimo, prima ancora di aver terminato gli studi superiori manifesta un forte interesse per la pittura, che lo induce a frequentare prima lo studio dell’acquafortista Filippo Marfori Savini, e in seguito lo studio del pittore americano Julius Rolshoven, assieme al fratello Ernesto Michahelles in arte THAYAHT e in segreto dal padre.

Risale al 1914 il precoce esordio di RAM come pittore, in cui espone una serie di ritratti, paesaggi toscani e incisioni, iniziando a farsi conoscere nell’ambito del disegno e della grafica; pubblicherà le sue prime vignette umoristiche in stile liberty sul “Corriere dei Piccoli” nel 1918.

Il 1920 è un anno importante per RAM; insieme al fratello Thayaht, infatti, collabora all’invenzione e alla pubblicizzazione della TuTa, abito universale futurista per tutti. La tuta in qualche modo richiamava una tangenza precocissima con l’attività e la poetica dei futuristi.

Nell’estate del 1921 consegue il diploma di “Chimico-Colorista” presso l’Istituto Nazionale di Chimica Tintoria e Tessitura di Prato.

Inoltre, nel 1923 si laurea in Chimica all’Università di Firenze e inizia a prendere parte alla vita artistica fiorentina: all’organizzazione della Corporazione Belle Arti e del I Sindacato delle Arti a Firenze; l’anno successivo vince con il fratello Thayaht, il Concorso Nazionale “Premio Nazionale dell’Italica”, riservato agli artisti contemporanei in Toscana, per il nuovo allestimento scenico dell’“Aida”. Frattanto aderisce al “Gruppo Toscano Futurista” e a tutte le manifestazioni futuriste coniando lo pseudonimo di RAM. Da questo momento inizia un lungo periodo in cui l’artista alterna al soggiorno fiorentino frequenti viaggi a Parigi.

Nel 1926 inizia la sua collaborazione con il periodico “Natura”, e con la “Rivista Illustrata del Popolo d’Italia”, per i quali realizza le copertine. Lavora intanto anche per il Ministero del Turismo realizzando cartelloni pubblicitari. Inoltre, collabora all’allestimento delle Mostre dell’Artigianato e dell’Agricoltura.

Il 1927 è per RAM un anno molto importante poiché a Parigi si intrattiene con Alberto Magnelli, Giorgio De Chirico, Massimo Campigli, Mario Tozzi, Marino Marini, Arturo Loira, Maurice Denis, Othon Friesz, Carlo Carrà, Zadkin, De Pisis, Mirò, Fernand Léger, Alberto Savinio, Renato Paresce, Kisling, Jacovleff, Bakst, Massine, Serg Lifar, San Lazzaro, Borsi, Ezra Pound e in questo clima matura i presupposti di uno stile d’ispirazione metafisica di una moderna e rara classicità denominata dall’artista neometafisica. Come Giorgio De Chirico gli suggerirà più tardi nel 1931, comincerà ad adottare il cognome “italianizzato”di Micaelles.

Nel 1928 organizza la sua prima importante mostra personale al Palazzo Feroni di Firenze, in cui espone opere orientate verso un recupero formale e plastico di stampo novecentista, con vaghi riferimenti di carattere purista; sempre nel 1928 è invitato alla XVI Biennale di Venezia in cui espone la pittura “Il cipresso della strada”.

Nel 1930 partecipa alla XVII Biennale di Venezia con la scultura in terracotta “Madre Solare”, dopo essersi proposto come scultore alla IV Mostra Regionale d’Arte Toscana.

L’anno successivo partecipa sia alla “I Quadriennale Nazionale di Roma” che alla “Mostra Futurista. Pittura Scultura Aeropittura” presentata da Marinetti e organizzata dal fratello Thayaht e Antonio Marasco alla Galleria d’Arte di Firenze. In seguito, con il fratello Thayaht cura la stesura di un documento di architettura funzionale “Brevetto per Casolaria, Le case in serie” : “Casa d’oggi”, “Casa minima” e “Casa media”. In questo periodo vince, inoltre, il terzo premio al concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer in occasione del lancio del film Ben Hur con la scultura “4 H.P. x 1931” (la Quadriga del 1929). In seguito, la stessa opera parteciperà al concorso indetto dalla “XVIII Biennale di Venezia” del 1932  per la celebrazione del “Primo Decennale della Marcia su Roma”, concorso dal tema “La Vittoria del Fascismo” che gli vale il primo premio.

Nel 1932, in collaborazione con il fratello Thayaht, elabora il “Manifesto per la trasformazione dell’abbigliamento maschile”, partecipa alla “V Mostra Regionale di Arte Toscana” esponendo varie opere di aeroscultura, e successivamente espone con il gruppo futurista alla Galleria Pesaro di Milano nella “Mostra Futurista di Aeropittura e Scenografia”. Nello stesso anno RAM sposa la Contessa Olga Olsoufieff, figlia del Conte Vassili Olsoufieff e della Contessa Olga Schouwalow. Divorzieranno poi nel 1937.

Nel 1933 partecipa al ConcorsoNazionale della Stazione di Firenze, per il progetto degli urbanisti fiorentini Bianchini-Fagnoni,  presentando. La “Stele Ferroviaria” modellino in legno di scultura architettonica.   La  “Stele Ferroviaria” doveva essere poi collocata davanti al piazzale della stazione di Firenze. Sempre nel 1933 partecipa alla Mostra “Arte Sacra Futurista” a Palazzo Feroni, organizzata da Fillia/Marasco; lì RAM espone “La Vittoria del Fascismo”, la scultura e il progetto “Monumento al Marinaio Italiano” che doveva sorgere a Brindisi. Inoltre partecipa alla mostra “Omaggio Futurista a Umberto Boccioni” alla Galleria Pesaro di Milano, dove presenta “La Stele Ferroviaria”. Nel 1934 partecipa alla Mostra d’Arte Toscana a Firenze.

Nel 1935 partecipa alla “II Quadriennale di Roma”. Sempre nello stesso anno partecipa alla Mostra Futurista di Aeropittura a Milano.Da questo anno, l’artista collaborerà con l’ENIT (Ente Nazionale Italia Turismo).

Nel 1936 è invitato alla XX Biennale di Venezia, in cui espone la scultura “Il Duce” (L’Uomo XIV). Nel novembre dello stesso anno s’inaugura a Parigi, alla “Galérie Le Niveau” un’importante mostra personale di 34 opere, presentate in catalogo da Giorgio De Chirico. L’anno successivo è selezionato per il Prix Paul Guillame ed espone alla Galleria Bernheim Jeune. Purtroppo il lavoro realizzato durante il soggiorno parigino andrà quasi totalmente distrutto e saccheggiato a causa della guerra.

All’inizio degli anni Quaranta si stabilisce nuovamente a Firenze, dove apre un nuovo studio in Borgo San Jacopo. Durante i bombardamenti alleati nella città andranno danneggiate molte opere. Al termine del conflitto, nel 1945, continuerà le sue ricerche pittoriche, appartato e in solitudine. In questo periodo comincia a rappresentare nella sua pittura figure di saltimbanchi, reminiscenza del suo periodo giovanile in Maremma in cui l’artista era stato molto in contatto con famiglie di saltimbanchi ed i loro teatrini.

Nel 1946 allestisce una mostra personale alla Galleria Moos di Ginevra e a Losanna presso gli spazi della Galleria Moser. L’anno successivo inaugura un’altra mostra personale presso la Galleria d’Arte Sandri di Venezia, presentata dall’amico Gianni Vagnetti.

Nel 1952 si risposa e avrà due figli. Partecipa, in questo periodo, alla mostra collettiva a Palazzo Strozzi, “Mezzo Secolo di Arte Toscana”, e successivamente sempre nello stesso anno allestisce una personale a Roma, presso la Galleria L’Obelisco.

Dal 1959 al 1973 realizza un’importante serie di pitture di nudi, caratterizzate dall’uso di soli due colori con relative sfumature.

Nel 1968 espone la sua ultima personale fiorentina presso la Galleria Michelangelo in Palazzo Antinori.

Muore a Firenze il 14 marzo 1976.

E’ sepolto a Firenze, al cimitero degli Allori.

Biografia di Susanna Ragionieri in collaborazione con l’Archivio THAYAHT & RAM

Approfondimento Critico :

“Un monde plein de sérénité, lumineuux et persuasif”
Note sulla frase neometafisica di Ram

“Potente la Quadriga di Ram forza cavalli motore”, avrebbe esclamato Marinetti davanti alla scultura con la quale l’artista partecipò nel ’31 al concorso della “Metro Goldwyn Mayer”, per il lancio di uno dei primi kolossal del mondo del cinema: il film Ben Hur. La frase si spiega meglio in relazione al titolo originale dell’opera che era 4 H.P. X 1931 ,dove H. P. sta per Horses Power; e lo “slancio aggressivo” dei cavalli, depurato di ogni aspetto aneddotico a creare l’immagine sintetica e moltiplicata da uno a quattro, di moderno idolo meccanico, che la scelta della fusione in alluminio non faceva che esaltare, ben si accordava a quell’estetica futurista della velocità e della macchina che riconosceva ancora a proprio nume tutelare il Boccioni de La città che sale. Quali fossero i principi sui quali quella scultura-prototipo era costruita, lo indicava il fratello Thayaht in uno scritto dello stesso 1931, dove la sfida a “superare le limitazioni delle superfici sulle quali sino ad oggi abbiamo disegnato”, si esprimeva nell’idea della traiettiva, che egli definisce come “l’arte che insegna a plasmare o rappresentare gli oggetti secondo le modificazioni che loro apportano gli spostamenti nello spazio e i movimenti nelle loro singole parti, così per rispetto al volume e alla forma, come per rispetto al colore”. Era questa la nuova maniera di disegnare (o di scolpire) che, secondo Thayaht, andava perseguita. Essa creava ritmi lineari nello spazio, e sintetizzando l’essenza della forma solida, apriva alla prospettiva del movimento: “quando un oggetto in movimento segue una traiettoria oltrepassando una certa velocità, l’occhio umano percepisce delle deformazioni inaspettate; sono appunto queste deformazioni che la traiettiva dovrà studiare e classificare, per giungere alla creazione della teoria scientificamente esatta, che permetterà l’applicazione di regole pratiche”5. Non sarà difficile riconoscere, in questi pensieri, lo spirito logico e matematico che Raffaello Franchi attribuiva fin dagli anni Venti anche a Ram, quasi una traccia lasciata nella sua forma mentis dalla laurea in chimica, che doveva averlo aperto all’idea del movimento come complesso di trasformazioni sistematiche, frutto di combinazioni esatte fra gli elementi del mondo organico. E una ricerca affine, quanto alla resa sintetica del movimento, si può riscontrare in 4 H.P. X 1931 come nella coeva Vittoria dell’aria di Thayaht, realizzata in lamiera di alluminio, il cui bozzetto fu esposto nella Mostra Futurista di Firenze, ovvero nella prima occasione cittadina per Ram di adesione al movimento. I due artisti appaiono così assai vicini, intimamente complementari e complici, come già lo erano stati i Dioscuri Savinio e de Chirico. Alla Mostra Futurista di Pittura, Scultura, Areopittura, organizzata da Marasco e Thayaht alla Galleria Firenze nei primi mesi del 1931, un’altra scultura rivela tuttavia un ulteriore carattere dell’opera di Ram destinato a maggiori sviluppi negli anni immediatamente prossimi: si tratta di Madre Natura, che Gerardo Dottori indica a esempio di sintesi, «realizzata con puri volumi in funzione architettonica». Il bronzo, che era già stato esposto l’anno precedente, inserito in una nicchia di ottone riflettente, chiamata Madre Spirituale, e che sembra rinnovare l’iconografia, spiazzante nell’accostamento ravvicinato fra dimensioni differenti, di una Madonna della Misericordia che ha ai suoi piedi il piccolo gruppo della Madre Terrena, costruisce infatti una sorta di architettura umana moltiplicata su scala cosmica, che trova dirette assonanze di tono con immaginazioni analoghe di Fillia, venate di spiritualismo . È nella relazione con il futurismo eterodosso di questo torinese, autore nel ’25 del fondamentale testo La pittura spirituale, presenza importante accanto a Prampolini e a Marasco a partire dal ’31 nelle mostre fiorentine, che si comprende meglio la particolare rotta intrapresa dal futurismo di Ram, e dello stesso Thayaht. “Ma dare la sintesi -si chiede ancora Dottori significa semplicemente sgombrare l’oggetto dai dettagli superflui, oppure ha un significato assai più vasto? ” “Noi crediamo -è la sua risposta- che sintesi significhi oltre che dare nell’opera plastica l’essenzialità formale, anche e principalmente immettere nell’opera d’arte più mondo possibile; spaziare, allargare la visione plastica al di là di dove l’occhio arriva, dare la sensazione che l’artista domini il proprio mondo plastico e non si faccia dominare”. Sono parole importanti per Ram, che nel porsi su una via sempre più chiara di decantazione visiva -questa l’interpretazione che egli sembra dare al tema della sintesi-, alla sciarada luminosa di forme proposta da Dottori, opporrà un lirismo concentrato e pervasivo, capace di “abbellire di fantasia lirica la realtà quotidiana”, dunque avviando di fatto una personalissima fase da lui stesso definita “neometafisica”. Istanze di ordine fantastico, introspettivo e dunque neometafisico -è Crispolti a notarlo- già verso la fine degli anni Venti si andavano insinuando anche in una situazione europea di carattere «purista» che, procedendo da Ozenfant, Le Corbusier e dallo stesso Léger, si andava innestando di elementi sempre più surreali, anche per la presenza tutelare di Savinio e de Chirico. Lo stesso Fillia, a Parigi nel ’28, aveva respirato questa atmosfera, e Prampolini, in opere come Venezia, dimostra di aver suonato quei medesimi tasti.
Il percorso di Ram, diverso nella sua più diretta adesione ad una forma di sapore novecentista che si esplica in opere come Composizione di nudi o La tenda gialla, stava a dimostrare tuttavia che anche lui, pur mantenendosi nei confini di una forma di salda integrità plastica e luminosa, si andava orientando verso esiti nei quali i colori immaginati e puri, come aveva scritto Fillia, possano equivalere ad un “alfabeto spirituale”, liberando la materia dal proprio inutile, appannato “cromatismo naturale”. Erano di questa qualità gli splendori minerali isolati dai pittori seicenteschi, fra fiamminghi e caravaggeschi, e riproposti, oltre che in Composizione di nudi e ne La tenda gialla, anche nell’Autoritratto e nel Ritratto dei figli del barone Franchetti; ed apparteneva alla stessa sostanza anche la ripresa costante, in opere scalate temporalmente, come Ottobre del ’23, Perlustrazione
notturna del ’27, e Tragedia del mare, esposta nella personale del ’28, dell’immagine dei geometrici fasci di luce che, frutto della naturale schermaglia fra nuvole e sole o invenzione moderna dell’uomo, immetteva comunque nella composizione un carattere evocativo e misterioso, dipendente dalla poetica incongruità fra varietà naturale e ordine improvviso.
E vale la pena di ricordare che Tragedia del mare, come ha testimoniato Lia Michahelles nel 2006, nasceva dalla suggestione del ritrovamento del corpo di Shelley sulla spiaggia allora incontaminata di Viareggio.
Era forse da considerarsi in questa prospettiva anche l’esperienza teatrale, vissuta insieme al fratello, della realizzazione delle scene per l’Aida, che,nell’unione fra taglio sintetico delle inquadrature e soluzioni illuminotecniche adottate, con l’uso di luci colorate, contrastate e dinamiche, rivelava, come hanno ben indicato Uzzani e Pratesi, la conoscenza e la comprensione delle innovazioni portate in questo campo da Gordon Craig, dal Teatro del colore di
Achille Ricciardi, e dalle nude e potenti realizzazioni
sceniche di Appia . Così come colore e sintesi, intesi quali elementi chiave, erano già affiorati sia dalla ricerca di Thayaht legata all’ideazione della tuta, sia dall’attività di cartellonista di Ram, affiancata con regolarità alla pittura a partire dalla seconda metà degli anni Venti. È comunque alla IV Mostra Sindacale del’30 che alcune opere esposte dall’artista, come Incontro gradito ,Amici ,e appunto la scultura Maternità (poi Madre Natura), mostrano con chiarezza la svolta avvenuta; sono in molti a parlare di gusto metafisico ed a fare i nomi di de Chirico e di Tozzi; Franchi, con la consueta finezza, parla di “ironia”, usando un vocabolo saviniano.
Un bozzetto di copertina per la rivista “Natura” con due coppie di corolle di fiori intente a danzare -il titolo è Bal des Fleurs-, ed una pagina di firme che porta la data “Parigi, 14 maggio 1929”, riportano alla presenza di Ram nella capitale francese, ricorrente fin dai primi anni Venti e che si farà sempre più intensa sul finire del decennio e lungo il corso del successivo. Difficile dire se abbia potuto vedere la mostra degli Italiens de Paris alla Galerie Zak, in aprile, nella quale Tozzi riesce ad inserire per la prima volta de Chirico e Savinio, dove figurano Mannequins e Gladiateurs à l’ecole; oppure se sia intervenuto al “Gran Gala Travesti-Bal Jules Verne”, organizzato dalla corporazione degli artisti russi di Parigi, per il quale de Chirico fornisce il disegno con due manichini dal titolo Les Navigateurs, usato per manifesto e locandina, e dove de Pisis conduce un amico mascherato da “manichino dechirichiano”. Se, come suggerisce la copertina di “Natura”, avrà assistito alla rappresentazione di Le Bal, vero e proprio canto del cigno dei Balletti Russi, e di tutta un’epoca, prima della caduta di Wall Street, l’atmosfera di sottile inquietudine che pervade le due versioni de Les mannequins, e che i dettagli mondani haute couture piazzati nel deserto o sulla riva solitaria del mare rendono più intensa e corrosiva, sembra intonarsi perfettamente al clima fra onirico e tragico che aveva caratterizzato le stesse scene, coreografia e costumi di de Chirico. Mentre a metà strada fra immaginazioni di Savinio come Le butin des pirates e La mort du Grand Pompée, appaiono altre opere, come Natura morta del ’32, dove ricompare la corolla di fiore bianco e carnoso, e Turbolenza cosmica, dello stesso anno, le cui forme misteriose ed indeterminate sembrano riportare alla recente svolta astratta di Magnelli. Il 1932 e il ’33, sono anche gli anni in cui Ram torna a riflettere in maniera approfondita sul tema della misura architettonico-spaziale e sui suoi rapporti con la scultura: tre progetti stanno a dimostrarlo. Il primo
riguarda il concorso per il decennale del fascismo, bandito dalla biennale di Venezia, al quale partecipa utilizzando 4 H.P. X 1931, come elemento centrale, inquadrato da un’alta cornice architettonica in cemento armato, ottenuta compenetrando i volumi di una coppia di aereoplanisostenuta da due pilastri che recanol’indicazione A. X E. F. Il secondo, esposto anch’esso nella medesima mostra, è il progetto per il Monumento al Marinaio di Brindisi, per il quale Ram aveva pensato un’ampia scalinata ad emiciclo dove il replicarsi delle ombre sui gradini restituiva in sintesi l’idea del mare, solcato al centro da un elemento emergente, come un’alta prua di nave, che aveva sulla sommità Il timoniere di Thayaht. La collocazione prevista sulle rive del mare, apriva, come già il Monumento al Fante di Eugenio Baroni, un dialogo visionario con la natura. Infine, il terzo, da ascriversi ai primi mesi del 1933, è una scultura prevista di grandi dimensioni -la Stele delle ferrovie, inserita in dialogo con un alto arco slanciato, poi modulo ricorrente nei suoi dipinti neometafisici, nel progetto per il concorso della nuova stazione di Santa Maria Novella degli architetti Bianchini e Fagnoni. Essi avevano avveniristicamente pensato ad una stazione interrata che risultasse visibile all’esterno non come edificio, ma come esteso giardino, delimitato dagli schermi geometrici delle siepi, scandito da una fila di alberi, e soprattutto aperto e concluso dalle cesure ritmiche dei due lavori di Ram: la stele d’ingresso (su cui si innesta la segnaletica ala “cennatrice”), e l’arco d’uscita, slanciato contro il cielo. Se tutto ciò dimostra che l’artista deve aver avuto un ruolo non secondario nel progetto, credo che la riflessione su un registro compositivo di tipo architettonico, tessuto su una rete di relazioni armoniche fra spazio, luce e colore, contrappuntato di presenze umane, possa dirsi alla base del linguaggio che intanto Ram stesso andava maturando, pronto a trasferirlo in pittura. Così, l’immagine del giardino spaziato e luminoso, del progetto Bianchini e Fagnoni, ritorna come riferimento lirico, tradotto dall’artista nell’impaginazione dei quadri neo-metafisici con il tema dell’isola. Che, nel nitore meridiano de L’île sans ombres, o ne L’île de Cythére, sembra rovesciare coscientemente il significato boeckliniano de L’isola dei morti per costruire al suo posto un’edenica isola dei vivi. In modo simile, le linee guida del ,redatto nel 1932 con il fratello Thayaht, su un vestire in accordo con la natura, transitano nelle figure di bagnanti che abitano i quadri fra ’33 e ’34: dai due giovani a mezzobusto ritratti in Sirocco, a quelli dai corpi sbalzati di luce in Bagnanti, fino alla coppia nelle due versioni de Gli sposi. La lirica essenzialità che Koenig noterà nel progetto Bianchini-Fagnoni ritorna poi nell’analogo rapporto di relazione fra figure e fragile architettura dei ripari sulla spiaggia, delimitati nella loro semplice ortogonalità da esili pilastri verticali e tetti piatti, a cercare libere integrazioni con spazio e luce. Prove di visionarietà, che credo possano dipendere dal richiamo esercitato su molti architetti e artisti del tempo, dal padiglione di Mies van der Rohe all’Esposizione Internazionale di Barcellona, nel quale, per la prima volta, le ragioni meccaniche del funzionalismo si equilibravano perfettamente con un estatico respiro degli spazi che non escludeva la presenza della figura, come dimostrava la scultura di Kolbe, ma la accoglieva integrandola armonicamente nella metrica degli spazi e della luce. Recensito entusiasticamente da Rava su “Domus” del ’31, il suo carattere di sospensione contemplativa e neometafisica, sarebbe stato recepito e ricreato dal duo di architetti Figini e Pollini nella Casa per Artista, presentata alla V Triennale del ’33. Saràproprio in quell’occasione, vista la partecipazione di Thayaht alla mostra milanese, che i due Michahelles, con molta probabilità, la vedranno, se non ci si vuole spingere ad ipotizzare un viaggio precedente a Barcellona, dove lo stesso Thayaht aveva esposto propri oggetti in taiattite ed era stato premiato con la medaglia d’oro. Anche nella presentazione che de Chirico scriverà da New York per la personale parigina di Ram nella Galerie Le Niveau, nel novembre del 1936, il tema della relazione armonica che lega fra loro figure spazi e forme è significativamente messo in evidenza. È infatti attraverso un gioco di colori, di misure architettoniche, e di ritmi nello spazio, che l’artista riesce, secondo de Chirico, a trasmettere allo spettatore la rivelazione di un mondo pieno di serenità, luminoso e seducente, dove tutti gli elementi, anche quelli inanimati, sembrano acquisire una vita propria trasformandosi in personaggi. La mostra alla Galerie Le Niveau, importante spazio che aveva accolto opere di de Chirico, Magnelli, Marino Marini, e, fra i francesi, Kislinge Lhote, segna il momento di massimo splendore per Ram. Esposizione riassuntiva del lavoro più recente, nato sotto il segno della neometafisica, e insieme di esordio nel mondo parigino, dove egli si presenta forte del sostegno e quasi dell’investitura di de Chirico, sarà accolta con toni entusiasti dalla critica francese che aveva imparato ad apprezzare gli Italiens de Paris e per loro tramite il richiamo della Grecia, filtrato dalla “lumière ardente” del quattrocento italiano. “Roger Micaelles possède au plus haut point le sense de la notre époque” si legge in “Comoedia”, mentre”L’Intransigeant” parla di pittura di timbro cerebrale, dove “les élémentsconstructifs (pan de mur, monuments inachevés, colonnes brisées, etc….)surgissent sur la toile avec la précision deconcertant des décors de certainrêves”; e “Le cri du jour” rileva ancora che nelle opere dell’artista l’architetturagioca, come in tutti i surrealisti, un ruolo fondamentale. Promenade en auto, sembra segnare il punto più alto di questa tendenza alla rarefazione spaziale in cui la suggestione futurista del tema si salda con la forma simbolica della prospettiva centrale a suscitare un cristallino effetto di sotto vuoto, siglato dal leggero duplicarsi dello specchietto retrovisoreche fa coincidere il vetro dell’auto con la superficie del quadro. Ma in altre opere, l’armonica unità dimensionale de L’île sans ombres o de L’île de Chythère mostra le prime crepe, per via dell’insinuarsi nell’immagine come di una rete di microfratture di senso che ne minano a poco a poco l’integrità apollinea: sono le porte che si aprono sul nulla in Courant d’air, dove il nudo allungato ha le proporzioni stralunate dei gladiatori dechirichiani, o le figure senza volto che si gettano l’una nelle braccia dell’altro in Indiscretìon, sotto lo sguardo cieco delle statue. Mentre l’arco sotto il quale passa la figura innamorata dell’Indiscretìon, che diventa modulo costruttivo nelle mani della Femmede l’artiste, o elemento su cui si misura la slanciata figura della scultura Il Costruttore, dal volto di manichino, adombra l’idea fra onirico e tragica del giocattolo, rimandando ancora alla costellazione intellettuale dei due Dioscuri. Anche la serie dei Cataclysmes riassume bene il procedere progressivo di questa frana mentale lanciata a travolgere l’edenica infrangibilità dell’immagine: la si osserva nell’improvviso sbrecciarsi dei purissimi setti murari che compongono la scena de L’île sans ombres, ancora abitata da presenze umane, poi nell’impadronirsi dell’intera composizione, organizzata come un trofeo di rovine, che rimanda alle invenzioni neosettecentesche di Severini per l’appartamento parigino di Leon Rosenberg; fino all’inquietudine non più dissimulata della versione composta da un accumulo di frammenti arenati nel deserto. Dove l’evocazione di rovine di radice romantica si tinge del visionario riferimento al paesaggio dell’epoca terziaria -come in Savinio- ma anche della profezia di un ipotetico futuro in assenza dell’uomo, ormai destituito dal ruolo di protagonista assoluto, frammento rotto esso stesso e abbandonato nella polvere. Su questo pensiero è costruito il ciclo dei Bouquet prehistoriques; né paesaggio, né natura morta, la tavolozza vi si schiarisce ad esaltare l’aspetto grafico e mentale di un “nuovo mondo sotto una folgore sospesa”, e serbando il ricordo del “bianco azzurro, bianco biondo” delle scene dei Puritani di de Chirico, che tanto scandalo avevano suscitato a Firenze pochi anni prima. Ma un altro aspetto dell’artista, che emerge dall’esposizione, è la “drôlerie” di opere come Bâtards, che ha protagonisti due cani, torreggianti in un paesaggio onirico; all’opera, oggi perduta, è accostabile l’atmosfera de La veille dame , seduta come un idolo domestico fra le macerie della sua casa borghese ed accudita dal fedele cagnolino. Questa umana affabilità, dopo la misura esatta e costruttiva della Femme de l’artiste, o la potenza visionaria, da statua che si desta, della Giunone Italica, ritorna in un gruppo di ritratti femminili del ’37. In essi, un gioco di sguardi fra timido o velato di tristezza, e l’accettazione inattesa di un’imperfezione fisionomica in Dans l’atelier , sono il segno inequivocabile che una fase sta passando e con essa tutto un mondo -quello dell’artista, ma non solo- appare chiudersi in modo irrevocabile. “Nel susseguirsi delle infinite sensazioni provenienti dal mondo esterno alcune, talvolta, producono in noi una particolare reazione. Accumulandosi a nostra insaputa, quelle sensazioni aumentano il nostro patrimonio individuale; esse si ripetono, si sovrappongono e maturano per sbocciare infine in idee, sentimenti e visioni.
L’artista crea solamente quando materializza questo mondo interiore, e la sua creazione è tanto convincente e personale quanto è fedele al suo intimo.
I dipinti che Roger Micaelles espone per la prima volta a Parigi, alla Galleria Le Niveau, sono notevoli perché ci rivelano un mondo pieno di serenità, luminoso e persuasivo. È spesso un gioco di colori e di forme architetturali, di ritmo nello spazio, e i soggetti inanimati hanno vita propria diventando dei personaggi. Patetici o grandiosi, essi riflettono la poesia o il dramma dell’anima dell’artista conservando l’impronta di serenità che li caratterizza.
Se l’intenzione dell’artista è creare cose belle, Roger Micaelles ci riesce attraverso tele che sanno ingrandire le mura, abbellire le stanze e, senza dimenticare la più grande delle prove: sa darci delle opere con le quali ci piacerebbe vivere”.
Giorgio de Chirico, New York 1936

 

S. Ragionieri, Ram La realtà metafisica.

 

 


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