Giacomo Favretto, Caldo
1885

olio su tela, cm 62,5 x 44,5
firmato in basso a destra «G. Favretto»


 

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Non appena a Venezia fu indetta l’Esposizione Nazionale del 1887, tutti gli occhi si rivolsero immediatamente a Giacomo Favretto ed ancor più all’evento della sua improvvisa scomparsa, avvenuta a soli trentotto anni. Fu allora che, mentre il pubblico e la critica lo acclamava all’unanimità capo della nuova scuola veneziana dei giovani “veristi” – della quale facevano parte, insieme ai paesaggisti Ciardi e Fragiacomo, Nono, Tito e Zezzos – “degna delle sue tradizioni gloriose e della storia dell’arte nazionale”, il conte Lorenzo Tiepolo, sindaco della Serenissima, lanciandosi in un’accorata e appassionata apologia riconosceva in lui il continuatore di quelle tradizioni, “che in quella storia aveva già scritto pagine indimenticabili”. Sicuramente tra queste rientra Caldo, un’opera che, pur nella sua concezione narrativa ancora di tipo aneddotico, dimostra di affrontare il tema dell’idillio popolare in una nuova chiave psicologica, riflesso del più aggiornato verismo letterario. All’origine di un simile risultato sta un approccio diretto con la realtà che attesta il passaggio, agli inizi degli anni Ottanta, dal quadro in costume di rievocazione settecentesca ad un modo schietto e diretto di rapportarsi alla vita moderna. Parallelamente si assiste ad una svolta radicale nello stile evidente, soprattutto, nella resa fedele del dato reale e nella sua meditata trasfigurazione al fine di restituire, in termini di pura visibilità, l’intensità dei sentimenti e il palpito delle emozioni. Di ciò si coglie una diretta testimonianza anche in Caldo, dove l’interesse per alcuni dettagli solo all’apparenza secondari – l’ombrello, la brocca ed i vasi allineati sulla mensola – lungi da un’inerte e pedissequa imitazione fine a se stessa, contribuisce a rendere l’atmosfera semplice e genuina di un ambiente vissuto, raggiungendo uno splendore cromatico senza pari. Il cappello adagiato a terra in primo piano, la ciabatta non calzata con disinibita naturalezza, il rosso avvampato del ventaglio, metafora di un generale sconvolgimento dei sensi, l’uomo ripreso di spalle, con il capo reclino e gli occhi abbassati ed infine l’espressione ambigua della donna e la sua indefinibile partecipazione alla scena, vanno ben oltre una scontata ricerca illustrativa mirante al piacevole e al pittoresco, caratteristica della pittura di genere allora più in voga. L’inclinazione per un tipo d’iconografia evocativa di teneri e passionali sentimenti, Favretto l’aveva, del resto, già rivelata sin dalla fine degli anni Settanta in soggetti quali L’amore tra i polli, Il primo bacio, L’erbaiolo veneziano, Idillio, Una dichiarazione e Soli! composizioni che, in luoghi all’aperto o in ambienti intimi, riproponevano, ogni volta in chiave nuova, il rapporto amoroso della coppia. All’interno di questo filone Caldo occupa decisamente un posto a sé per i termini moderni con cui il pittore riesce a rendere complessa una rappresentazione dai contorni a prima vista scontati. Questo elemento di pura novità non dovette certo passare inosservato ad un critico attento e sensibile come Carlo Dossi che, nulla notando “tra le 102 opere esposte [alla rassegna di Brera del 1885] che esca dall’ordinario”, così si era espresso: “…I migliori sono senza dubbio quelli di Giacomo Favretto Caldo e El me dise la Rossa [nel primo si vede] un operaio, colle spalle volte al riguardante, che fa una dichiarazione d’amore ad una popolana sedutagli di faccia, col ventaglio in mano e col viso rosso. Favretto è pittore elegante, che sa profumare i suoi popolani in modo da far perdere loro ogni odore di plebe, e talvolta anche di carne, cosicché possono entrare famigliarmente nel boudoir della donna più schifiltosa e incipriata”.
Nonostante questa puntuale e fedele testimonianza, la letteratura più recente ha creduto d’identificare Caldo in un dipinto la cui scena risulta affatto corrispondente alla descrizione dell’autore di Note azzurre. A creare i presupposti per una simile sciarada iconografica concorse Enrico Somaré il quale, in un’epoca in cui la tela esposta a Brera non era ancora nota, equivocando completamente la descrizione del Dossi, mise in relazione Caldo con Contrasti d’amore. Repetita iuvant, si potrebbe dire, infatti, in tempi relativamente recenti, un quadro di soggetto identico a Caldo e pressoché dello stesso formato, apparso sul mercato romano nel 1980, è stato erroneamente accorpato al catalogo favrettiano con il titolo Contrasti d’amore. Da riferire, verosimilmente, al dipinto qui per primo citato, dove l’artista riprende, in un diverso contesto domestico, la scena del corteggiamento aggiungendo, alla sinistra della coppia, una seconda figura femminile nella cui espressione rattristata e delusa è da riconoscere, a nostro avviso, l’essenza di un amore contrastato (cfr. G. Perocco, R. Trevisan, Giacomo Favretto, Torino, 1986, pp. 172-173, 176-177).
Il recupero dall’oblio di quella che per qualità esecutiva, vigore cromatico e resa materica sembra inequivocabilmente la versione esposta alla rassegna di Brera, oltre ad aggiungere un importante tassello nella produzione matura di Favretto, viene a far luce sull’ancora per molti versi confuso censimento della sua opera, permettendo di ammirarne, per la prima volta, uno dei risultati più riusciti rimasto sin qui inedito.

F. Panconi, Quel Caldo riemerso dai freddi meandri dell’oblio, brochure di presentazione del quadro, “Le Muse” Galleria d’Arte, Cortina d’Ampezzo, 2-21 agosto 2003



Esposizioni

Esposizione di Belle Arti nel Palazzo di Brera, 1885, n. 90; Modenantiquaria Padiglione Excelsior-Palazzo Guidobono, Venezia prima della Biennale. La pittura veneta dall’unità d’Italia al 1895 nelle collezioni private, a cura di S. Bietoletti- G. Matteucci-P. Nicholls-P. Serafini, 19-27 febbraio, 6-28 marzo 2005, n. 26; Chiostro del Bramante-Museo Correr, Giacomo Favretto. Venezia, fascino e seduzione, a cura di P. Serafini, 23 aprile-11 luglio, 31 luglio-21 novembre 2010, n. 62.



Bibliografia
E. Somaré, Favretto, Verona, 1933, pp. 41, 53; C. Dossi, Opere, a cura di D. Isella, Milano, 1995, p. 1304; S. Bietoletti, schede in catalogo della mostra (modena-tortona, 2005), p. 58.