Filippo Palizzi, Landò in attesa
1857 

olio su tela, cm 31 x 50
firmato e datato in basso a sinistra «Fil. Palazzi 1857»

Storia: Sotheby’s, Londra, 1970; Galleria Giosi, Vendita all’Asta di un’eccezionale raccolta di dipinti dell’800 napoletano, Napoli, 8 aprile 1972, n. 44, tav. XXII; Galleria Geri, Asta di dipinti dell’800, Milano, 13 ottobre 1983, n. 99; Finarte, Dipinti del XIX secolo, Milano, 30 ottobre 1984, p. 62, n. 174; Le Muse Galleria d’Arte, Le stagioni del vero. Itinerario pittorico attraverso l’Italia di ieri, Cortina d’Ampezzo, 24 dicembre 2010-8 gennaio 2011.



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Pendant di Passeggiata in via Caracciolo, si direbbe proseguirne il racconto di vita borghese, la cui narrazione aveva interessato Filippo Palizzi in molte altre opere, fra le quali Caccia alla volpe (ottocento, n. 29, 2000, p. 295, ripr.) e Cacciando nella campagna napoletana (ottocento, n. 31, 2002, p. 336, ripr.). Nelle due si rintraccia non solo la volontà di raccontare gli usi del ceto napoletano medio-alto, scattando istantanee di un momento della giornata di un ricco gentiluomo, probabile committente, ma anche di documentare scrupolosamente le mutazioni di una città in ampia espansione sia topografica che culturale.
A segnare un continuum spaziale, oltreché temporale, con la Passeggiata, sarebbe l’ambientazione della scena, se si potesse confermare l’allettante ipotesi di una identificazione con il giardino di Villa Reale; ideato nel 1780 per volontà di Ferdinando IV Borbone e su progetto di Carlo Vanvitelli, come “real passeggio”, era, alla seconda metà dell’Ottocento, uno dei più ricercati luoghi di ritrovo, interdetto al popolo e ai servitori. Vero e proprio Eden per le sue rare essenze e la lussureggiante vegetazione, alternata a statue e fontane neoclassiche, costeggiava (e costeggia tuttora) proprio il lungomare di via Caracciolo, dove corre il calesse dell’opera abbinata. Le ricche, curate siepi floreali, unitamente all’elegante cancellata, che fanno da sfondo al landò e all’attesa del gentiluomo, sembrerebbero proprio riferirsi ad uno degli ingressi laterali del parco.
L’opera, nella scrupolosa acribia dei dettagli della carrozza, dell’abbigliamento del cocchiere, della bardatura dei cavalli e del loro manto, per realizzare il quale egli si fabbricava i pennelli da sé, è un’ulteriore testimonianza della sbalorditiva capacità di resa analitica del “pittore dei cavalli”, così descritta da Francesco Sapori: “Guardiamo dunque le sue tele, quasi tutte di brevi dimensioni. Sono pitture lucide e linde, che fanno là e qua ripensare a maioliche gustate nei musei, ma più carnose; e vanno oltre la miniatura, della quale serbano tuttavia in parecchie occasioni il profumo certosino. […] Così in essa appaiono sostanziali quelle minuzie che altrove sono superfluità ingombranti. Non vibra in lui altra ansia se non quella di riprodurre la natura” (1919, pp. 4, 6).

Claudia Fulgheri