Michahelles Ruggero Alfredo (RAM) (1898-1976). Biografia. Quadri in vendita.

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RAM (Ruggero Alfredo Michahelles) Firenze, 30 maggio 1898 – 16 marzo 1976

1898 – Il 30 maggio Ruggero Alfredo Michahelles nasce a Firenze, terzo di quattro fratelli: Ernesto, in arte Thayaht, Marco, agronomo e scienziato, Cristina, scultrice. Viene da un’agiata famiglia cosmopolita di origini svizzero – anglo – americane che ha come nume tutelare Hiram Powers, il celebre scultore neoclassico americano inviato dal governo per tradurre in marmo le sue opere e stabilitosi a Firenze nel 1837, nella villa fatta costruire al Poggio Imperiale.

1914 – 1916 Comincia a studiare arte da autodidatta e stringe amicizia con Gianni Vagnetti, futuro pittore al tempo studente della Scuola libera del Nudo all’Accademia di Belle Arti. A Londra, segue un corso di disegno alla scuola di Percy Bradshaw, famoso disegnatore umoristico per il quale eseguirà nel 1921 – come sappiamo da una lettera a Thayaht – alcuni non identificati lavori. Frequenta lo studio dell’acquafortista Filippo Marfori – Savini, dal 1916 docente all’Accademia Internazionale di Pittura e Incisione in Borgo S.S. Apostoli; passione condivisa con il fratello Thayaht che risulta essere iscritto, nel 1914, alla Scuola libera di Incisione all’acquaforte tenuta da Celestino Celestini presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Per il probabile tramite di Celestini i due fratelli vengono a conoscenza delle innovatrici teorie sul teatro e la scena di Edward Gordon Craig che Celestini considerava suo maestro. L’interesse per il teatro e la messinscena ritorna anche nella frequentazione, fino al 1919, dei coniugi Braggiotti, coppia di noti cantanti lirici e appassionati di dottrine orientali, i cui numerosi figli erano amici e coetanei dei due Michahelles.

1916 – 1918 Nel 1916 realizza tre vignette umoristiche per la rivista «Life» non pubblicate. Esordisce sul «Corriere dei Piccoli» con una vignetta satirico politica dai tratti grafici di gusto liberty affini a quelli delle caricature di Enrico Novelli, alias Yambo, pubblicate su «La Nazione».

1919 –1920 Oltre a studiare per suo conto i grandi maestri nelle gallerie fiorentine, inizia a frequentare, all’insaputa del padre e certo per incitamento del fratello, lo studio del pittore americano Julius Rolshoven, appena rientrato a Firenze dopo il lungo soggiorno in New Mexico. L’exploit di questo periodo è tuttavia rappresentato dalla collaborazione con il fratello all’invenzione della Tuta, mitico capo d’abbigliamento destinato a rivoluzionare in senso moderno il modo di vestire. Per la campagna promozionale Tuttintuta realizza una cartolina postale ed è fra gli organizzatori del ballo in tuta tenutosi nell’estate del 1920 a Palazzo Rucellai. Comincia a firmarsi con l’acronimo RAM derivante dalle iniziali del nome e cognome originale.

1922 È ammesso alla Fiorentina Primaverile con una Natura morta. Nell’ottobre, in una lettera a Cesare Ratta, il fratello lo definisce «illustratore in bianco e nero». Hanno inizio i suoi soggiorni in Versilia, a Tonfano, dove Thayaht ha acquistato un’abitazione che chiamerà «Casa Gialla».

1923 Ottiene il diploma di perito chimico a Prato. Da gennaio a marzo è a Parigi con il fratello a sua volta impegnato, dal 1919, nel contratto di collaborazione con Madeleine Vionnet; qui frequenterà, «a scopo orientativo», gli atelier di Maurice Denis, Othon Friesz, Alexandre Jacovleff e Vassili Choukaieff. In novembre, espone tre opere fra cui Fine di stagione, identificabile in Ottobre, alla I Fiera d’Arte al Parterre di Firenze.

1924 Vince con il fratello il Premio dell’Italica, Concorso Nazionale riservato agli artisti contemporanei residenti e attivi in Toscana per un nuovo allestimento dell’Aida, messa in scena, sotto la direzione del maestro Visconti di Modrone, ad Algeri e a Tunisi. I bozzetti per le scenografie eseguite a quattro mani, oggi conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, si distinguono per il sintetismo monumentale e suggestivo delle scene cui si aggiungevano i moderni effetti scenotecnici basati sull’uso di luci colorate mobili e taglienti volte a enfatizzare il ruolo emotivo e visionario del colore nella rappresentazione. L’interesse per la scenografia porta RAM a frequentare anche lo studio di Gino Carlo Sensani e a collaborare con lui; rientra in quest’ambito la realizzazione di una applauditissima scena (la seconda del terzo atto) con un transatlantico in piena rotta, per Sogno di una perla di Vincenzo Sorelli, fiaba fantastica rappresentata alla Pergola tra aprile e maggio che vede Sensani come principale responsabile del progetto. Altri collaboratori sono Primo Conti per la scenografia e Gian Gualberto Parenti per i costumi.

1925 Partecipa alla costituzione della Prima Corporazione delle Arti Decorative ed espone con il fratello nella mostra di apertura.

1926 È fra i tre premiati al Concorso Nazionale indetto dall’E.A.T. (Ente per le Attività Toscane) per un manifesto artistico su Firenze. Collabora all’allestimento delle annuali Mostre Fiorentine dell’Artigianato e dell’Agricoltura. Frequenta l’ambiente di «Solaria» e poi dell’Antico Fattore: Libero Andreotti, dal quale aveva preso in passato lezioni di scultura, poi Alberto Magnelli, Felice Carena, Raffaello Franchi, Bruno Bramanti, Marino Marini, Arturo Loria, Giovanni Colacicchi.

1927 È presente con diversi lavori, fra i quali la testa poi fusa in bronzo di Fanciulla primitiva, alla III Esposizione del Sindacato Regionale Toscano delle Arti del Disegno. Aiuta il fratello nell’allestimento della sala realizzata da quest’ultimo all’interno della III Mostra Internazionale delle Arti Decorative di Monza; realizza con lui anche il bozzetto dello scenario per il Teatrangolo di Flavia Farina Cini. Esegue un cartellone pubblicitario per il Carnevale di Viareggio.

1928 In gennaio tiene la sua prima personale a Palazzo Feroni, dove presenta ritratti «alla Hayez», come Turbante giallo, paesaggi di taglio sintetico e luminoso (Ottobre, Il ciclone e Tragedia del mare), figure (La tenda gialla e Studio di nudi), e bozzetti per il Pelléas et Melisande di Debussy. Opere che lo vedono orientato in direzione di un recupero formale e plastico di stampo novecentista, variamente connotato di spunti seicenteschi o puristi in relazione al colore e alla luce. In primavera partecipa alla Prima Mostra Regionale Toscana (con Tragedia del mare e due nature morte), ed alla XVI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia con Il cipresso della strada. Cominciano in primavera anche due importanti e continuative collaborazioni con riviste: in marzo esegue la sua prima copertina per la «Rivista illustrata del Popolo d’Italia»; poi è pubblicata Tulipani sul numero di maggio della prima annata di «Natura: rivista mensile illustrata». Per entrambe le testate realizzerà periodicamente numerose copertine fino al 1942 entrando in rapporto con l’ambiente degli illustratori e architetti milanesi gravitanti nel clima della Triennale, da Piero Bottoni a Marcello Nizzoli, da Bruno Munari a Sepo. Con Thayaht e Cristina, la sorella scultrice, frequenta la famiglia Maraini, composta da Antonio, scultore e segretario nazionale della Biennale di Venezia, dalla moglie inglese Yoi, scrittrice, e dal giovanissimo figlio Fosco, fotografo e sciatore: passione, quest’ultima, condivisa da tutti i giovani Michahelles. È in questi anni abile e riconosciuto tennista.

1929 – Allestisce una mostra di proprie opere nella galleria Bellenghi, spazio di riferimento del Novecento toscano, insieme a Raffaele De Grada e con la presentazione di Raffaello Franchi. Espone alla III Mostra Regionale il Ritratto dei figli del barone Franchetti. È nuovamente a Parigi, dove allestisce un proprio studio in Rue de la Grande Chaumière a Montparnasse. Frequenta il gruppo Les Italiens de Paris. Nella città d’oltralpe viene elaborando un nuovo linguaggio figurativo che coniuga il paradigma metafisico con un’impostazione di moderna classicità.

1930 – Partecipa come pittore e scultore alla IV Mostra Regionale d’Arte Toscana esponendo 18 opere tra pitture, sculture e disegni fra i quali spiccano, per il particolare tono fra sintetico e neo – quattrocentesco, opere come Incontro gradito e l’ottagono Amici, insieme alle due sculture Madre Natura e Madre Solare.

1931 – È invitato alla I Quadriennale Nazionale di Roma. La partecipazione, fra febbraio e marzo, alla Mostra Futurista. Pittura Scultura Aeropittura organizzata nella Galleria d’Arte di Firenze da Antonio Marasco e dal fratello Thayaht, con la presentazione di Marinetti, segna il suo ingresso nel movimento: vi espone la scultura in bronzo Madre Natura e tre dipinti (Il Varo, Piroscafo, Idroscalo). La mostra, e più in generale l’aeropittura come resa grafica delle sensazioni del volo, è recensita sul «New York Times». Il suo nome ricorre ora spesso accanto a quello di Dottori, Prampolini, Russolo, Fillia fra i più importanti futuristi italiani; anche se nella V Mostra Regionale d’Arte Toscana è costretto dal regolamento ad esporre nel Padiglione degli artisti stranieri. In giugno partecipa al concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer, in occasione del lancio del kolossal Ben Hur con la scultura 4 H.P. x 1931 (Quadriga), con cui ottiene il premio di terzo grado. Con Magnelli, d’estate, visita le cave di Carrara, luogo importante per il futuro astrattismo ‘roccioso’ dell’amico. A Parigi conosce de Chirico, di cui diviene amico, e che ospiterà più volte a Firenze. Insieme a Thayhat firma in dicembre una moderna proposta di architettura in serie, funzionale, semplice, economica, espressa nel Brevetto per Casolaria (Casa Razionale estensibile), e nel dattiloscritto: Le case in serie. Sull’«Illustrazione Toscana» esce l’articolo di Giovanna Picchi: I fratelli Michaelles, brillante ritratto delle molteplici attività dei due.

1932 – Sposa Olga Olsoufieff. Elabora con il fratello il Manifesto per la trasformazione dell’abito maschile. In occasione del Primo decennale della Marcia su Roma, la Biennale di Venezia indice un concorso dal tema La Vittoria del Fascismo a cui partecipa con A. X E. F., rielaborazione architettonica di Quadriga, ottenendo il primo premio. L’opera era destinata ad essere collocata come coronamento della tribuna d’onore dello stadio di Livorno. Espone opere di aeroscultura alla VI Mostra Regionale di Arte Toscana, e alla Mostra Futurista di Aeropittura e di Scenografia alla Galleria Pesaro di Milano. Partecipa al Concorso di Brindisi per un Monumento al Marinaio Italiano, presentando un modello architettonico in cui il fratello inserirà la figura del Timoniere.

1933 – In gennaio partecipa alla Mostra Futurista di Scultura Aeropittura ed Arte Sacra Futurista, allestita a Firenze, alla Galleria di Palazzo Feroni, con le sculture Madre natura, A. X E. F., La prua d’Italia (il progetto del Monumento al Marinaio che doveva sorgere a Brindisi), ed i dipinti Stormo, Inseguimento, Ritorno della pattuglia. Fa parte del Comitato d’onore per le Onoranze a Boccioni che si tengono a Milano in giugno insieme ad una mostra dove presenta la scultura Stele delle ferrovie. Espone al Parterre di Firenze, nell’ambito della Mostra d’Arte Sportiva, la scultura La parata alta. Partecipa al Concorso Nazionale per la nuova Stazione di Firenze collaborando al progetto degli architetti Bianchini e Fagnoni, con l’inserimento di Stele delle Ferrovie. Il progetto è presentato fuori concorso per non aver tenuto conto di alcuni dati del bando riguardanti la metratura complessiva dell’area. Esegue bozzetti pubblicitari per la FIAT.

1934 – Alla VII Mostra Interprovinciale d’Arte Toscana sono esposti i bozzetti per l’Aida e quelli per il Pelléas et Melisande. Compie un viaggio in Tripolitania al seguito del neo – governatore Italo Balbo.

1935 – Partecipa alla II Quadriennale di Roma con I figli della lupa, poi donato al costituendo museo di arte contemporanea di Littoria. Nello stesso anno espone a Milano il dipinto Volo in occasione della Mostra Futurista di Aeropittura. Partecipa al concorso per i cartelloni del Maggio Musicale Fiorentino. Lavora per il Ministero del Turismo con cartelloni e pubblicità; esegue in questi anni numerosi fotomontaggi destinati alla promozione dell’Italia in paesi tedeschi e anglosassoni.

1936 – In novembre si inaugura a Parigi alla Galerie d’Art Le Niveau, in Boulevard Montparnasse, una personale di 34 opere, presentate in catalogo da Giorgio de Chirico. Per suggerimento di quest’ultimo, aveva cominciato a firmarsi con il cognome privo delle due “h”. Partecipa alla XX Biennale Internazionale di Venezia con il dipinto La moglie dell’artista e la scultura Il Duce. A Roma, partecipa alla I Mostra Nazionale del Cartellone, allestita nell’ambito della VI Mostra Sindacale Romana con un cartello di propaganda turistica. A Genova, partecipa con dieci bozzetti alla Mostra di Scenografia Italiana al Ridotto del Teatro Carlo Felice. Esegue lavori di grafica pubblicitaria per «Rivista Turistica mensile dell’E.N.I.T. e delle Ferrovie dello Stato».

1937 – E’ selezionato per il Prix Paul Guillaume ed espone alla Galleria Bernheim Jeune. Molta della produzione nella capitale francese verrà distrutta e saccheggiata a causa dell’occupazione tedesca. Gli unici lavori salvati sono quelli lasciati in deposito presso la Galerie d’Art Le Niveau.

1940 – Torna stabilmente a Firenze dove apre un nuovo studio – torre in Borgo San Jacopo. Durante i bombardamenti tedeschi nella città andranno distrutte oltre 150 opere. 1945 Dopo la fine del conflitto continua appartato e in solitudine la propria ricerca pittorica. 1946 Mostra personale alla Galleria Moos di Ginevra e a Losanna presso gli spazi della Galleria Moser.

1947 – Mostra personale presentata dall’amico Gianni Vagnetti, presso la Galleria d’Arte Sandri di Venezia.

1952 – Si sposa con Amelia Petrini dalla quale avrà due figli, Riccardo e Sandro. Partecipa alla collettiva a Palazzo Strozzi Mezzo secolo d’Arte Toscana. A Roma, allestisce una personale alla galleria L’Obelisco.

1968 – Mostra personale a Firenze ospitata presso Palazzo Antinori.

1969 – Ultima personale fiorentina presso la galleria Michelangiolo.

1976 – muore a Firenze il 14 marzo.

Susanna Ragionieri.

 

Approfondimento Critico :

“Un monde plein de sérénité, lumineuux et persuasif”
Note sulla frase neometafisica di Ram

“Potente la Quadriga di Ram forza cavalli motore”, avrebbe esclamato Marinetti davanti alla scultura con la quale l’artista partecipò nel ’31 al concorso della “Metro Goldwyn Mayer”, per il lancio di uno dei primi kolossal del mondo del cinema: il film Ben Hur. La frase si spiega meglio in relazione al titolo originale dell’opera che era 4 H.P. X 1931 ,dove H. P. sta per Horses Power; e lo “slancio aggressivo” dei cavalli, depurato di ogni aspetto aneddotico a creare l’immagine sintetica e moltiplicata da uno a quattro, di moderno idolo meccanico, che la scelta della fusione in alluminio non faceva che esaltare, ben si accordava a quell’estetica futurista della velocità e della macchina che riconosceva ancora a proprio nume tutelare il Boccioni de La città che sale. Quali fossero i principi sui quali quella scultura-prototipo era costruita, lo indicava il fratello Thayaht in uno scritto dello stesso 1931, dove la sfida a “superare le limitazioni delle superfici sulle quali sino ad oggi abbiamo disegnato”, si esprimeva nell’idea della traiettiva, che egli definisce come “l’arte che insegna a plasmare o rappresentare gli oggetti secondo le modificazioni che loro apportano gli spostamenti nello spazio e i movimenti nelle loro singole parti, così per rispetto al volume e alla forma, come per rispetto al colore”. Era questa la nuova maniera di disegnare (o di scolpire) che, secondo Thayaht, andava perseguita. Essa creava ritmi lineari nello spazio, e sintetizzando l’essenza della forma solida, apriva alla prospettiva del movimento: “quando un oggetto in movimento segue una traiettoria oltrepassando una certa velocità, l’occhio umano percepisce delle deformazioni inaspettate; sono appunto queste deformazioni che la traiettiva dovrà studiare e classificare, per giungere alla creazione della teoria scientificamente esatta, che permetterà l’applicazione di regole pratiche”5. Non sarà difficile riconoscere, in questi pensieri, lo spirito logico e matematico che Raffaello Franchi attribuiva fin dagli anni Venti anche a Ram, quasi una traccia lasciata nella sua forma mentis dalla laurea in chimica, che doveva averlo aperto all’idea del movimento come complesso di trasformazioni sistematiche, frutto di combinazioni esatte fra gli elementi del mondo organico. E una ricerca affine, quanto alla resa sintetica del movimento, si può riscontrare in 4 H.P. X 1931 come nella coeva Vittoria dell’aria di Thayaht, realizzata in lamiera di alluminio, il cui bozzetto fu esposto nella Mostra Futurista di Firenze, ovvero nella prima occasione cittadina per Ram di adesione al movimento. I due artisti appaiono così assai vicini, intimamente complementari e complici, come già lo erano stati i Dioscuri Savinio e de Chirico. Alla Mostra Futurista di Pittura, Scultura, Areopittura, organizzata da Marasco e Thayaht alla Galleria Firenze nei primi mesi del 1931, un’altra scultura rivela tuttavia un ulteriore carattere dell’opera di Ram destinato a maggiori sviluppi negli anni immediatamente prossimi: si tratta di Madre Natura, che Gerardo Dottori indica a esempio di sintesi, «realizzata con puri volumi in funzione architettonica». Il bronzo, che era già stato esposto l’anno precedente, inserito in una nicchia di ottone riflettente, chiamata Madre Spirituale, e che sembra rinnovare l’iconografia, spiazzante nell’accostamento ravvicinato fra dimensioni differenti, di una Madonna della Misericordia che ha ai suoi piedi il piccolo gruppo della Madre Terrena, costruisce infatti una sorta di architettura umana moltiplicata su scala cosmica, che trova dirette assonanze di tono con immaginazioni analoghe di Fillia, venate di spiritualismo . È nella relazione con il futurismo eterodosso di questo torinese, autore nel ’25 del fondamentale testo La pittura spirituale, presenza importante accanto a Prampolini e a Marasco a partire dal ’31 nelle mostre fiorentine, che si comprende meglio la particolare rotta intrapresa dal futurismo di Ram, e dello stesso Thayaht. “Ma dare la sintesi -si chiede ancora Dottori significa semplicemente sgombrare l’oggetto dai dettagli superflui, oppure ha un significato assai più vasto? ” “Noi crediamo -è la sua risposta- che sintesi significhi oltre che dare nell’opera plastica l’essenzialità formale, anche e principalmente immettere nell’opera d’arte più mondo possibile; spaziare, allargare la visione plastica al di là di dove l’occhio arriva, dare la sensazione che l’artista domini il proprio mondo plastico e non si faccia dominare”. Sono parole importanti per Ram, che nel porsi su una via sempre più chiara di decantazione visiva -questa l’interpretazione che egli sembra dare al tema della sintesi-, alla sciarada luminosa di forme proposta da Dottori, opporrà un lirismo concentrato e pervasivo, capace di “abbellire di fantasia lirica la realtà quotidiana”, dunque avviando di fatto una personalissima fase da lui stesso definita “neometafisica”. Istanze di ordine fantastico, introspettivo e dunque neometafisico -è Crispolti a notarlo- già verso la fine degli anni Venti si andavano insinuando anche in una situazione europea di carattere «purista» che, procedendo da Ozenfant, Le Corbusier e dallo stesso Léger, si andava innestando di elementi sempre più surreali, anche per la presenza tutelare di Savinio e de Chirico. Lo stesso Fillia, a Parigi nel ’28, aveva respirato questa atmosfera, e Prampolini, in opere come Venezia, dimostra di aver suonato quei medesimi tasti.
Il percorso di Ram, diverso nella sua più diretta adesione ad una forma di sapore novecentista che si esplica in opere come Composizione di nudi o La tenda gialla, stava a dimostrare tuttavia che anche lui, pur mantenendosi nei confini di una forma di salda integrità plastica e luminosa, si andava orientando verso esiti nei quali i colori immaginati e puri, come aveva scritto Fillia, possano equivalere ad un “alfabeto spirituale”, liberando la materia dal proprio inutile, appannato “cromatismo naturale”. Erano di questa qualità gli splendori minerali isolati dai pittori seicenteschi, fra fiamminghi e caravaggeschi, e riproposti, oltre che in Composizione di nudi e ne La tenda gialla, anche nell’Autoritratto e nel Ritratto dei figli del barone Franchetti; ed apparteneva alla stessa sostanza anche la ripresa costante, in opere scalate temporalmente, come Ottobre del ’23, Perlustrazione
notturna del ’27, e Tragedia del mare, esposta nella personale del ’28, dell’immagine dei geometrici fasci di luce che, frutto della naturale schermaglia fra nuvole e sole o invenzione moderna dell’uomo, immetteva comunque nella composizione un carattere evocativo e misterioso, dipendente dalla poetica incongruità fra varietà naturale e ordine improvviso.
E vale la pena di ricordare che Tragedia del mare, come ha testimoniato Lia Michahelles nel 2006, nasceva dalla suggestione del ritrovamento del corpo di Shelley sulla spiaggia allora incontaminata di Viareggio.
Era forse da considerarsi in questa prospettiva anche l’esperienza teatrale, vissuta insieme al fratello, della realizzazione delle scene per l’Aida, che,nell’unione fra taglio sintetico delle inquadrature e soluzioni illuminotecniche adottate, con l’uso di luci colorate, contrastate e dinamiche, rivelava, come hanno ben indicato Uzzani e Pratesi, la conoscenza e la comprensione delle innovazioni portate in questo campo da Gordon Craig, dal Teatro del colore di
Achille Ricciardi, e dalle nude e potenti realizzazioni
sceniche di Appia . Così come colore e sintesi, intesi quali elementi chiave, erano già affiorati sia dalla ricerca di Thayaht legata all’ideazione della tuta, sia dall’attività di cartellonista di Ram, affiancata con regolarità alla pittura a partire dalla seconda metà degli anni Venti. È comunque alla IV Mostra Sindacale del’30 che alcune opere esposte dall’artista, come Incontro gradito ,Amici ,e appunto la scultura Maternità (poi Madre Natura), mostrano con chiarezza la svolta avvenuta; sono in molti a parlare di gusto metafisico ed a fare i nomi di de Chirico e di Tozzi; Franchi, con la consueta finezza, parla di “ironia”, usando un vocabolo saviniano.
Un bozzetto di copertina per la rivista “Natura” con due coppie di corolle di fiori intente a danzare -il titolo è Bal des Fleurs-, ed una pagina di firme che porta la data “Parigi, 14 maggio 1929”, riportano alla presenza di Ram nella capitale francese, ricorrente fin dai primi anni Venti e che si farà sempre più intensa sul finire del decennio e lungo il corso del successivo. Difficile dire se abbia potuto vedere la mostra degli Italiens de Paris alla Galerie Zak, in aprile, nella quale Tozzi riesce ad inserire per la prima volta de Chirico e Savinio, dove figurano Mannequins e Gladiateurs à l’ecole; oppure se sia intervenuto al “Gran Gala Travesti-Bal Jules Verne”, organizzato dalla corporazione degli artisti russi di Parigi, per il quale de Chirico fornisce il disegno con due manichini dal titolo Les Navigateurs, usato per manifesto e locandina, e dove de Pisis conduce un amico mascherato da “manichino dechirichiano”. Se, come suggerisce la copertina di “Natura”, avrà assistito alla rappresentazione di Le Bal, vero e proprio canto del cigno dei Balletti Russi, e di tutta un’epoca, prima della caduta di Wall Street, l’atmosfera di sottile inquietudine che pervade le due versioni de Les mannequins, e che i dettagli mondani haute couture piazzati nel deserto o sulla riva solitaria del mare rendono più intensa e corrosiva, sembra intonarsi perfettamente al clima fra onirico e tragico che aveva caratterizzato le stesse scene, coreografia e costumi di de Chirico. Mentre a metà strada fra immaginazioni di Savinio come Le butin des pirates e La mort du Grand Pompée, appaiono altre opere, come Natura morta del ’32, dove ricompare la corolla di fiore bianco e carnoso, e Turbolenza cosmica, dello stesso anno, le cui forme misteriose ed indeterminate sembrano riportare alla recente svolta astratta di Magnelli. Il 1932 e il ’33, sono anche gli anni in cui Ram torna a riflettere in maniera approfondita sul tema della misura architettonico-spaziale e sui suoi rapporti con la scultura: tre progetti stanno a dimostrarlo. Il primo
riguarda il concorso per il decennale del fascismo, bandito dalla biennale di Venezia, al quale partecipa utilizzando 4 H.P. X 1931, come elemento centrale, inquadrato da un’alta cornice architettonica in cemento armato, ottenuta compenetrando i volumi di una coppia di aereoplanisostenuta da due pilastri che recanol’indicazione A. X E. F. Il secondo, esposto anch’esso nella medesima mostra, è il progetto per il Monumento al Marinaio di Brindisi, per il quale Ram aveva pensato un’ampia scalinata ad emiciclo dove il replicarsi delle ombre sui gradini restituiva in sintesi l’idea del mare, solcato al centro da un elemento emergente, come un’alta prua di nave, che aveva sulla sommità Il timoniere di Thayaht. La collocazione prevista sulle rive del mare, apriva, come già il Monumento al Fante di Eugenio Baroni, un dialogo visionario con la natura. Infine, il terzo, da ascriversi ai primi mesi del 1933, è una scultura prevista di grandi dimensioni -la Stele delle ferrovie, inserita in dialogo con un alto arco slanciato, poi modulo ricorrente nei suoi dipinti neometafisici, nel progetto per il concorso della nuova stazione di Santa Maria Novella degli architetti Bianchini e Fagnoni. Essi avevano avveniristicamente pensato ad una stazione interrata che risultasse visibile all’esterno non come edificio, ma come esteso giardino, delimitato dagli schermi geometrici delle siepi, scandito da una fila di alberi, e soprattutto aperto e concluso dalle cesure ritmiche dei due lavori di Ram: la stele d’ingresso (su cui si innesta la segnaletica ala “cennatrice”), e l’arco d’uscita, slanciato contro il cielo. Se tutto ciò dimostra che l’artista deve aver avuto un ruolo non secondario nel progetto, credo che la riflessione su un registro compositivo di tipo architettonico, tessuto su una rete di relazioni armoniche fra spazio, luce e colore, contrappuntato di presenze umane, possa dirsi alla base del linguaggio che intanto Ram stesso andava maturando, pronto a trasferirlo in pittura. Così, l’immagine del giardino spaziato e luminoso, del progetto Bianchini e Fagnoni, ritorna come riferimento lirico, tradotto dall’artista nell’impaginazione dei quadri neo-metafisici con il tema dell’isola. Che, nel nitore meridiano de L’île sans ombres, o ne L’île de Cythére, sembra rovesciare coscientemente il significato boeckliniano de L’isola dei morti per costruire al suo posto un’edenica isola dei vivi. In modo simile, le linee guida del ,redatto nel 1932 con il fratello Thayaht, su un vestire in accordo con la natura, transitano nelle figure di bagnanti che abitano i quadri fra ’33 e ’34: dai due giovani a mezzobusto ritratti in Sirocco, a quelli dai corpi sbalzati di luce in Bagnanti, fino alla coppia nelle due versioni de Gli sposi. La lirica essenzialità che Koenig noterà nel progetto Bianchini-Fagnoni ritorna poi nell’analogo rapporto di relazione fra figure e fragile architettura dei ripari sulla spiaggia, delimitati nella loro semplice ortogonalità da esili pilastri verticali e tetti piatti, a cercare libere integrazioni con spazio e luce. Prove di visionarietà, che credo possano dipendere dal richiamo esercitato su molti architetti e artisti del tempo, dal padiglione di Mies van der Rohe all’Esposizione Internazionale di Barcellona, nel quale, per la prima volta, le ragioni meccaniche del funzionalismo si equilibravano perfettamente con un estatico respiro degli spazi che non escludeva la presenza della figura, come dimostrava la scultura di Kolbe, ma la accoglieva integrandola armonicamente nella metrica degli spazi e della luce. Recensito entusiasticamente da Rava su “Domus” del ’31, il suo carattere di sospensione contemplativa e neometafisica, sarebbe stato recepito e ricreato dal duo di architetti Figini e Pollini nella Casa per Artista, presentata alla V Triennale del ’33. Saràproprio in quell’occasione, vista la partecipazione di Thayaht alla mostra milanese, che i due Michahelles, con molta probabilità, la vedranno, se non ci si vuole spingere ad ipotizzare un viaggio precedente a Barcellona, dove lo stesso Thayaht aveva esposto propri oggetti in taiattite ed era stato premiato con la medaglia d’oro. Anche nella presentazione che de Chirico scriverà da New York per la personale parigina di Ram nella Galerie Le Niveau, nel novembre del 1936, il tema della relazione armonica che lega fra loro figure spazi e forme è significativamente messo in evidenza. È infatti attraverso un gioco di colori, di misure architettoniche, e di ritmi nello spazio, che l’artista riesce, secondo de Chirico, a trasmettere allo spettatore la rivelazione di un mondo pieno di serenità, luminoso e seducente, dove tutti gli elementi, anche quelli inanimati, sembrano acquisire una vita propria trasformandosi in personaggi. La mostra alla Galerie Le Niveau, importante spazio che aveva accolto opere di de Chirico, Magnelli, Marino Marini, e, fra i francesi, Kislinge Lhote, segna il momento di massimo splendore per Ram. Esposizione riassuntiva del lavoro più recente, nato sotto il segno della neometafisica, e insieme di esordio nel mondo parigino, dove egli si presenta forte del sostegno e quasi dell’investitura di de Chirico, sarà accolta con toni entusiasti dalla critica francese che aveva imparato ad apprezzare gli Italiens de Paris e per loro tramite il richiamo della Grecia, filtrato dalla “lumière ardente” del quattrocento italiano. “Roger Micaelles possède au plus haut point le sense de la notre époque” si legge in “Comoedia”, mentre”L’Intransigeant” parla di pittura di timbro cerebrale, dove “les élémentsconstructifs (pan de mur, monuments inachevés, colonnes brisées, etc….)surgissent sur la toile avec la précision deconcertant des décors de certainrêves”; e “Le cri du jour” rileva ancora che nelle opere dell’artista l’architetturagioca, come in tutti i surrealisti, un ruolo fondamentale. Promenade en auto, sembra segnare il punto più alto di questa tendenza alla rarefazione spaziale in cui la suggestione futurista del tema si salda con la forma simbolica della prospettiva centrale a suscitare un cristallino effetto di sotto vuoto, siglato dal leggero duplicarsi dello specchietto retrovisoreche fa coincidere il vetro dell’auto con la superficie del quadro. Ma in altre opere, l’armonica unità dimensionale de L’île sans ombres o de L’île de Chythère mostra le prime crepe, per via dell’insinuarsi nell’immagine come di una rete di microfratture di senso che ne minano a poco a poco l’integrità apollinea: sono le porte che si aprono sul nulla in Courant d’air, dove il nudo allungato ha le proporzioni stralunate dei gladiatori dechirichiani, o le figure senza volto che si gettano l’una nelle braccia dell’altro in Indiscretìon, sotto lo sguardo cieco delle statue. Mentre l’arco sotto il quale passa la figura innamorata dell’Indiscretìon, che diventa modulo costruttivo nelle mani della Femmede l’artiste, o elemento su cui si misura la slanciata figura della scultura Il Costruttore, dal volto di manichino, adombra l’idea fra onirico e tragica del giocattolo, rimandando ancora alla costellazione intellettuale dei due Dioscuri. Anche la serie dei Cataclysmes riassume bene il procedere progressivo di questa frana mentale lanciata a travolgere l’edenica infrangibilità dell’immagine: la si osserva nell’improvviso sbrecciarsi dei purissimi setti murari che compongono la scena de L’île sans ombres, ancora abitata da presenze umane, poi nell’impadronirsi dell’intera composizione, organizzata come un trofeo di rovine, che rimanda alle invenzioni neosettecentesche di Severini per l’appartamento parigino di Leon Rosenberg; fino all’inquietudine non più dissimulata della versione composta da un accumulo di frammenti arenati nel deserto. Dove l’evocazione di rovine di radice romantica si tinge del visionario riferimento al paesaggio dell’epoca terziaria -come in Savinio- ma anche della profezia di un ipotetico futuro in assenza dell’uomo, ormai destituito dal ruolo di protagonista assoluto, frammento rotto esso stesso e abbandonato nella polvere. Su questo pensiero è costruito il ciclo dei Bouquet prehistoriques; né paesaggio, né natura morta, la tavolozza vi si schiarisce ad esaltare l’aspetto grafico e mentale di un “nuovo mondo sotto una folgore sospesa”, e serbando il ricordo del “bianco azzurro, bianco biondo” delle scene dei Puritani di de Chirico, che tanto scandalo avevano suscitato a Firenze pochi anni prima. Ma un altro aspetto dell’artista, che emerge dall’esposizione, è la “drôlerie” di opere come Bâtards, che ha protagonisti due cani, torreggianti in un paesaggio onirico; all’opera, oggi perduta, è accostabile l’atmosfera de La veille dame , seduta come un idolo domestico fra le macerie della sua casa borghese ed accudita dal fedele cagnolino. Questa umana affabilità, dopo la misura esatta e costruttiva della Femme de l’artiste, o la potenza visionaria, da statua che si desta, della Giunone Italica, ritorna in un gruppo di ritratti femminili del ’37. In essi, un gioco di sguardi fra timido o velato di tristezza, e l’accettazione inattesa di un’imperfezione fisionomica in Dans l’atelier , sono il segno inequivocabile che una fase sta passando e con essa tutto un mondo -quello dell’artista, ma non solo- appare chiudersi in modo irrevocabile. “Nel susseguirsi delle infinite sensazioni provenienti dal mondo esterno alcune, talvolta, producono in noi una particolare reazione. Accumulandosi a nostra insaputa, quelle sensazioni aumentano il nostro patrimonio individuale; esse si ripetono, si sovrappongono e maturano per sbocciare infine in idee, sentimenti e visioni.
L’artista crea solamente quando materializza questo mondo interiore, e la sua creazione è tanto convincente e personale quanto è fedele al suo intimo.
I dipinti che Roger Micaelles espone per la prima volta a Parigi, alla Galleria Le Niveau, sono notevoli perché ci rivelano un mondo pieno di serenità, luminoso e persuasivo. È spesso un gioco di colori e di forme architetturali, di ritmo nello spazio, e i soggetti inanimati hanno vita propria diventando dei personaggi. Patetici o grandiosi, essi riflettono la poesia o il dramma dell’anima dell’artista conservando l’impronta di serenità che li caratterizza.
Se l’intenzione dell’artista è creare cose belle, Roger Micaelles ci riesce attraverso tele che sanno ingrandire le mura, abbellire le stanze e, senza dimenticare la più grande delle prove: sa darci delle opere con le quali ci piacerebbe vivere”.
Giorgio de Chirico, New York 1936

 

S. Ragionieri, Ram La realtà metafisica.

 

 


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