Induno Domenico, Un pensiero a Garibaldi
1863 

olio su tela, cm. 74,7×60,5
firmato in basso a destra: “D. Induno 1863”

 


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Una giovane donna, sembrerebbe vedova, con il viso pallido e in abito scuro, siede di fronte a una tela, posta su un cavalletto. Alle sue spalle, in camicia rossa e con fare galante, sta un giovane pittore; accenna al quadro con una mano, mentre l’altra regge con eleganza gli strumenti del mestiere: tavolozza, pennello, l’asta da utilizzarsi per tener saldo il tratto nel dipingere i dettagli. Il suo studio è semplice, ma grazioso. Come al solito, ricco di piccoli oggetti, boccette, disegni, gessi: cose d’artista, insomma. Dipinte con quella stessa minuzia alla quale accennano gli strumenti che il pittore tiene in mano.
Attorno alla giovane coppia stanno altre figure: una donna più anziana, forse la madre di lei, e due altri accompagnatori, un vecchio dai capelli candidi (un antiquario?) e un uomo in uniforme, il berretto calcato sulla testa e ulna lunga barba rossa. Non prestano attenzione alla tela, sembrano commentare a bassa voce qualche altro dipinto che noi non vediamo.
La giovane è assorta, turbata; osserva con attenzione la scena di battaglia raffigurata sul quadro mentre il pittore le descrive l’azione. Noi possiamo solo immaginare, intuire quello che sta accadendo: a cavallo, sulla sinistra, sembra proprio di intravedere il generale Garibaldi impegnato in un assalto. Sventolano tricolori. Il volto e la figura dell’eroe si ritrovano ovunque nello studio: a sinistra, in un’incisione, usata probabilmente come modello, ; in alto, sull’armadio, come statuetta di gesso, di quelle che gli ambulanti vendevano porta a porta e che sembrano non mancare mai negli interni induniani, discreti e quotidiani lari familiari. Un Garibaldi a cavallo sembra spuntare anche su una piccola tela seminascosta, sulla parete.
Il quadro è datato 1863, e venne esposto sia a Genova sia a Milano in un momento denso di dramma per la storia italiana, fortemente sentito dall’opinione pubblica: si riferisce infatti alla disfatta di Aspromonte dell’anno precedente, all’assalto dell’eroe nazionale, alle memorabili ferite (e alla prigionia) che colpirono il generale per mano dell’esercito italiano, contro il quale si rifiutò di aprire il fuoco. Ecco il perché della divisa garibaldina, ecco il perché del turbamento della giovane donna. Con la solita, precisa maestria descrittiva (quell’eleganza Biedermeier tanto decantata dalla critica) Domenico celebra il dramma risorgimentale nell’interno del suo atelier, vissuto da un cuore di donna e dagli occhi del pittore soldato. Non a caso, quello stesso anno, il fratello Gerolamo espose in memoria del fatto una delle tele che fecero allora maggior scalpore, dedicata agli stessi fatti d’Aspromonte: come sempre, scegliendo prospettive diverse, i due fratelli lavoravano nella stessa direzione.
Sappiamo con certezza che il pittore raffigurato sulla tela è Domenico: al di là della somiglianza fisica (mai da sottovalutare, in un pittore di tanta costante precisione), conosciamo una prima versione della tela, di minori dimensioni ma di soggetto praticamente identico (forse uno studio), datata 1861 e ora in collezione privata, meno impegnativamente intitolata “Nello studio del pittore”, nota anche come “Nello studio dell’Induno con autoritratto”.
Una dichiarazione programmatica, quindi. Che trasforma il lavoro dell’artista in una testimonianza diretta e sincera della storia, vissuta in prima persona.
S. Regonelli in “Domenico e Gerolamo IOnduno. La storia e la cronaca scritte con il pennello” (catalogo della mostra, Allemandii & C.), Palazzo Guidobono, 15 ottobre 2006 – 7 gennaio 2007, p.76,n.15.