Giovanni Fattori da “Ritratti d’Artisti Italiani” di Ugo Ojetti, 1911 (seconda parte)

…… “Fattori tace, chiude l’album che sfogliava distrattamente mentre parlava e ci sovrappone le due mani come fanno le credenti sovra un libro da messa finite le preci. Poi riprende col suo sorriso cordiale che pare voglia mitigare il fervore delle parole:

-Perchè allora, sa, noi l’Italia l’amavamo come una sposa. Che anni erano stati quelli fra il ’46 e il ’49 a Livorno! Dico a Livorno perchè a Firenze nel ’49 furono tanto buoni pel Granduca che lo richiamarono subito e, solo quando se lo videro arrivare vestito da generale austriac, cominciarono a capire…. A Livorno, invece! Io, è vero, potei far poco. Quando si seppe che gli austriaci s’avvicinavano, i miei mi chiusero in casa. Tutta la notte,ricordo, udii dal quarto piano della nostra casa sui Fossi, comitive di popolani intonar per le strade la canzone di Mameli e svanir giù verso le mura; ma all’aurora cominciarono le cannonate. In quei giorni disegnavo da una stampa accademica un combattimento di greci e di troiani, qualche cosa che dev’essere nell’Iliade d’Omero, e anche quella mattina disegnavo…Una cannonata, poi un’altra, poi lo scoppio delle granate… Piantai lì sulla carta l’elmo d’Agamennone, afferrai un canocchiale e corsi sul tetto a un abbaino. Di lì si scopriva tutta la pianura e lontano presso il Camposanto Nuovo si scorgevano le file dei soldati e i cannoni. Vedo ancora un ufficiale che seduto fumava tranquilllamente e ogni tanto alzava la mano e i cannoni sparavano. Poi gli austriaci entrarono per via Barra e avanzando tiravano sempre qualche colpo alle finestre che vedevano aperte. Una granata scoppiò sul mio tetto, frantumò i vetri dell’abbaino e io guardavo ancora. Dalla parte opposta della strada deserta vidi un uomo curvo, le braccia conserte sul petto, strisciare lungo il muro come chi si ripara dalla pioggia e scomparire, chi sa, forse per andar a morire. 

Gli austriaci si accamparono in Piazza Grande di faccia al duomo, poi si sbandarono e salirono per le case. Vennero anche da noi e mia madre dovette dar loro dei fiaschi di vino. All’improvviso le fucilate ricominciarono, e quelli a correr giù a precipizio coi fiaschi di vino in mano. Alcuni audacissimi capitanati da un prete erano saliti sul campanile e di lassù avevano sparato sugli austriaci sotto nella piazza. Furono fucilati tutti, lì per lì. Che giornata quell’undici maggio! E che eroi! Mi ricordo d’un operaio della marina, un maestro d’ascia, pallido, piccolo, melanconico e fanatico che era soprannominato il Gatto ed era stato, dicevano, segretario di Guerrazzi. 

L’avevo veduto in certe riunioni segrete che si tenevano, di là d’un viale sui Condotti, in uno stanzone più in basso della strada, umido e buio, con un tavolino nero in fondo e sul tavolino due candele di sego tra le quali spiccava il volto raso e giallo del Guerrazzi, sulla sinistra, più indietro, in penombra, era sempre lui, il Gatto. Ebbene, egli fu tanto impressionato da quel ritorno dei “tedeschi” che la sera stessa andò da solo ad assaltare una sentinella austriaca e fu arrestato e fucilato la mattina dopo. 

Le fucilazioni si facevano sul piazzale di Porta a Mare. E una sera eravamo al Caffè della Posta e parlavamo sottovoce delle disgrazie d’Italia quando entrò uno pallido come un morto, chè una sentinella gli aveva strappato dal petto un mazzolino di fiori bianco rosso e verde. Uno dei presenti, un ragazzo, si alzò, afferrò dalle mani d’uno di noi un altro mazzolino come quello, chè quasi tutti ne avevamo uno, se l’infilò all’occhiello, uscì, tornò alla Granguardia davanti allo stesso soldato e quando questi si avanzò per strappargli i fiori, lo freddò con una coltellata.  Anch’egli fu fucilato. Potrei andare avanti un giorno intero a raccontarle di queste cose. Qualcuna anche l’ho scritta, alla meglio, per mio ricordo. Ma ella già può immaginare con che cuore mi mettessi a dipingere nel ’61 il Campo italiano alla battaglia di Magenta, e poi l’Attacco alla Madonna della Scoperta comandato  dal general Lamarmora che è a Livorno, e poi Il principe Amedeo ferito a Custoza che è a Brera…La lista è lunga. Trent’anni dopo dipingevo ancora la Battaglia di Custoza e seguivo a piedi ogni anno le grandi manovre…

Egli s’è acquietato parlandomi dei suoi quadri militari come se in quelle tele avesse sciolto un voto di quei giorni sacri.